venerdì 15 dicembre 2023

L’«IMPAZIENZA DELLE DONNE» E IL SONNO DELLE TANTE ISTITUZIONI (#Consulta compresa)

Ma la Corte costituzionale nel tempo tiene conto dei principi della Carta, o si richiama per caso alle statistiche relative al costume sociale? 
Di Iole Natoli

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In merito alla discussa affermazione del Presidente novello della Consulta Augusto Barbera - “Donne impazienti, riconoscete ciò che è già stato fatto” come riporta il sito di Repubblica -, Iole Granato, attenta frequentatrice di FB, ha commentato che «evidentemente millenni di pazienza non sono ritenuti sufficienti», ci si tratta quasi «come minorate cui sono state fatte larghe concessioni di cui essere riconoscenti”. Proprio questa è in effetti la reazione che nelle donne suscita e continua a suscitare quella dichiarazione infausta, malgrado il tentativo di ammorbidimento dei termini compiuto successivamente dal giudice.

Senza dubbio si potrebbe provare a supporre che il giudice Barbera si riferisse non ai millenni ma solo al tempo che decorre dall’approvazione della nostra Carta costituzionale, ma anche così resterebbero alcune obiezioni da sollevare.

Tra queste, una che riguarda il cognome materno ricusato nel 2006 dalla Corte (altra composizione, ovviamente, ma l’istituzione è comunque quella) in occasione della causa intentata originariamente presso il Tribunale di Milano dalla coppia Cusan e Fazzo, che portò nella sua conclusione al ricorso al Tribunale internazionale CEDU e alla conseguente condanna dell’Italia. 
Che cosa accadde nell’iter giudiziario di allora? Quando, attraversati il primo e il secondo grado, i ricorrenti giunsero alla Cassazione, tale corte «sospese il procedimento e rinviò il caso alla Corte Costituzionale. Con sentenza del 16 febbraio 2006, la Corte Costituzionale dichiarò inammissibile la questione di legittimità sollevata. Pur ritenendo che il sistema di attribuzione del cognome paterno derivasse da una concezione patriarcale della famiglia che aveva le sue radici nel diritto romano e che fosse non compatibile con i principi costituzionali di parità tra uomo e donna, ritenne che la scelta tra diverse soluzioni doveva essere operata dal legislatore» (Antonella Mascia). obbligando con ciò la Cassazione a respingere il ricorso dei due coniugi.

Ci si potrebbe forse accontentare, se gli eventi successivi non obbligassero a una valutazione diversa. In occasione di una nuova richiesta di attribuzione del solo cognome materno, questa volta da parte di due genitori conviventi, la Corte costituzionale con un’ordinanza di rimessione SOSPESE il giudizio per interrogare se stessa e nel 2022, con la storica sentenza n.131, ANNULLÒ le disposizioni sino ad allora vigenti, stabilendo delle regole precise a tutela della parità dei diritti tra i sessi.

In altri termini, quel che la Consulta LEGITTIMAMENTE fece nel 2022, la stessa istituzione avrebbe potuto farlo nel 2006, anzi avrebbe DOVUTO, proprio nel rispetto di quella Carta costituzionale a cui la Corte stessa faceva riferimento. E dunque l’impazienza delle donne è più che fondata, come la considerazione finale della nostra compagna di FB: «Ci sarebbe di che perderla definitivamente la pazienza». Con netta convinzione confermiamo, anche perché i ritardi non sono mai senza conseguenze. Nel caso dell’esempio riportato, quel ritardo intervenuto non è stato indolore per tanti figli e figlie, a cui sono stati sottratti quei benefici del doppio cognome che la Corte ha ampiamente descritto nel 2022 e anche prima, e non lo è stato nemmeno per le donne madri, che hanno dovuto subire senza speranza alcuna una patente discriminazione, per tutti gli anni intercorsi dal 2006 al 2023.

15 Dicembre 2023

© Iole Natoli

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