mercoledì 7 dicembre 2022

Quando IL DIRITTO nega la realtà / I figli della coppia lesbica unita civilmente e la sentenza di AREZZO

Quella Madre che non è Madre è come un Padre
Considerazioni su una sentenza italiana del novembre 2022
Di Iole Natoli

Foto di Karen Warfel da Pixabay

Fatto di cronaca.
Una coppia lesbica vuole un figlio e pensa di rafforzare non solo la relazione di coppia ma la relazione di ciascuna componente con il futuro figlio ricorrendo a una soluzione inusuale. La donna che partorirà non offrirà alla creatura in progetto l’apporto genetico ma solo quello della gravidanza e del parto, facendo impiantare nel proprio utero l’ovulo dell’altro membro della coppia, ovvero della propria compagna, fecondato tramite fecondazione eterologa compiuta in altro stato (in Italia la Legge 40/2004 non lo consente in caso di coppia omosessuale).
Sembra loro l’uovo di Colombo, ma la realtà sarà un’altra.

Nascono due gemelli in Italia e le due donne fanno richiesta di riconoscimento dello status di madre per ciascuna di loro, a cui conseguirebbe l’attribuzione ai bimbi del cognome di entrambe. L’Ufficiale di Stato civile di Anghiari si rifiuta e la coppia si rivolge al Tribunale di Arezzo. Chiamato a una valutazione del problema, il Tribunale rigetta il ricorso (link).

Ora, è possibile che qualcuno manifesti anche per il caso specifico delle riserve, a causa della pratica innaturale di espianto a cui si è sottoposta una delle due donne, nonché del bombardamento ormonale innaturale a cui si è sottoposta l’altra, ma non si può sottacere che le due donne hanno fatto tutto ciò non a beneficio di terzi ma per una decisione spontanea e interna alla coppia, scelta che avrebbe dovuto apportare un beneficio a ciascuna delle due, nonché al bambino. Qualunque cosa se ne voglia pensare, non è possibile esimersi da alcune valutazioni particolari che per obiettività vanno fatte.

1 Non siamo dinanzi a un caso di utero in affitto, giacché la donna partoriente non ha affrontato la gravidanza e il parto PER ALTRI ma per se stessa e per l’altro membro della coppia, dunque non è stata resa strumento, non ha subito alienazione. Ha voluto farlo per essere fisicamente inclusa nella relazione genitoriale, della quale si sarebbe presumibilmente sentita meno partecipe se a partorire fosse stata la compagna, ovvero la stessa donna cui apparteneva l’ovulo. Infine, la donna partoriente si prenderà cura personalmente del bimbo messo al mondo e non lo cederà a una qualche committenza. In pratica, il figlio non verrà mai amputato della naturale relazione psicofisica con la gestante, che assumerà a tutti gli effetti il ruolo di Madre;

2 – il fatto che la fecondazione eterologa sia ammessa per una coppia eterosessuale fa sì che una donna a cui sia stato impiantato un ovulo estraneo, fecondato con i gameti del compagno o marito, possa essere considerata MADRE del bimbo partorito – e fin qui la situazione corrisponde a quella di cui stiamo trattando;

3 – il fatto che la fecondazione eterologa sia ammessa per una coppia eterosessuale fa sì che un uomo la cui compagna o moglie abbia fatto ricorso alla fecondazione del proprio ovulo con gameti di un altro uomo sia considerato padre del figlio partorito dalla compagna (e automaticamente all’interno di un rapporto matrimoniale), anche se il figlio avrà ricevuto metà del suo patrimonio genetico da un altro uomo, ovvero da un membro estraneo alla coppia – e qui la situazione differisce radicalmente (con l’appoggio della legge 40/2004 non sufficientemente impugnata) da quella di cui stiamo trattando;

4 – qualsiasi cosa possa decidere un Tribunale, il fatto che quel bimbo sarà collegato per una metà del suo patrimonio genetico a quello della compagna-donatrice della coppia considerata non potrà essere negato o dimenticato;

5 – il fatto che un uomo possa riconoscere un figlio non riconosciuto alla nascita SOLO IN QUANTO responsabile di una metà del patrimonio genetico del bimbo e che questo riconoscimento può essere effettuato perfino in caso di opposizione della madre di quel figlio, giungendo anche all’attribuzione del cognome se avallata da un giudice, è un fatto noto, è un diritto garantito all’uomo che nessuno può sottrargli.

Ne conseguono alcune domande.

a - perché un uomo può riconoscere un figlio se da un esame del DNA risulterà che egli sia colui da cui il figlio ha avuto una metà del suo patrimonio genetico, mentre una donna nella sua stessa situazione (il bimbo del caso di Arezzo ha indiscutibilmente per metà un patrimonio genetico avuto dalla donatrice) non può essere considerata GENITRICE di quel figlio, pur essendo peraltro legata alla partoriente da uno stabile rapporto di coppia?

b - Forse i gameti maschili sono più importanti, pregiati o autorevoli di quelli femminili? La genetica ci dice di no.

c – Forse è necessario che la donna a cui apparteneva l’ovulo si dichiari Padre e non Madre? Ciò servirebbe a far quadrare il cerchio?

d - Dove sta la ratio, dunque la base logica e scientifica – che contrasta con quella giuridica attuale – in virtù della quale considerare eticamente accettabile quella sentenza?

Deriva da queste considerazioni un giudizio di incompetenza del Tribunale di Arezzo?
Se consideriamo la minuziosità con cui le giudici hanno esaminato le sentenze della Cassazione, della Corte costituzionale e perfino della CEDU in proposito, si dovrebbe concludere che no e tuttavia qualcosa non convince.
Alla base di quelle sentenze c’è la considerazione che la legge 40/2004 consente il ricorso all’eterologa come rimedio a un difetto funzionale della coppia eterosessuale, dovuta all’impossibilità di uno dei suoi componenti di generare un figlio, per una qualche anomalia che non sussiste invece nel caso di una coppia omosessuale, i cui membri hanno la piena possibilità di esercizio delle caratteristiche generative del proprio sesso di appartenenza.

La valutazione sembrerebbe inoppugnabile, se non fosse che quel che ne consegue viene applicato SOLO nel caso di lesbiche e non di gay. A un gay che ha generato ricorrendo alla Gpa, vietata in Italia come lo è il ricorso all’eterologa per coppie lesbiche, non viene disconosciuta la sua paternità ma solo il diritto di conferire analogo statuto al compagno che non ha dato nessun contributo biologico per la nascita del figlio, ovvero al cosiddetto genitore intenzionale. Nel caso delle due donne e del comune di Anghiari, invece, alla donna che esattamente come il gay considerato ha “erogato” i suoi gameti, lo status di genitrice viene negato contro ogni evidenza. 

In altri termini, qui non si tratta, o non si tratta solo, di discriminazione nei confronti dell’omosessualità ma in primo luogo di discriminazione radicale nei confronti della donna, i cui gameti sono valutati in modo difforme - e per lei penalizzante - dai “sacri lombi” generativi del maschio, eterosessuale o omosessuale che sia.

Ricordiamo che le conclusioni di un procedimento giudiziale sono sempre condizionate dai termini in cui è stata formulata la richiesta.
È possibile che riproporre la questione da un punto di vista più appropriato - quale ad esempio la denuncia di una discriminazione nei confronti della donna con riferimento alle situazioni sopra esaminate –, lasciando dunque in sordina al momento la 40/2004 che tanto intralcia, possa indurre un Tribunale ordinario a sollevare eccezione di costituzionalità su questo aspetto specifico, ottenendo finalmente una differente pronuncia della Consulta o, a un livello ulteriore, della CEDU.

7 Dicembre 2022

Andare a Riflessioni incrociate sul caso della procreazione “ripartita” di una coppia lesbica di Anghiari, link   

© Iole Natoli

domenica 30 ottobre 2022

THE PRESIDENT / Lettera n.2 a #GiorgiaMeloni

 

Da THE PRESIDENT a LA PRESIDENTE del Consiglio in Italia

Di Iole Natoli

 


Cara Giorgia, alias Illustrious Mr. President,
facciamo seguito alla Lettera aperta
che Le abbiamo inviato in precedenza sul tema.

Una nota della Presidenza del Consiglio ha reso noto che il cerimoniale prevede l’uso del maschile per le funzioni che La riguardano. Qualcun altro – anzi qualcun’altra, trattandosi di Nunzia De Girolamo - ha ricordato durante una puntata televisiva di “Piazza pulita” che in Costituzione il ruolo indicato per Lei e per le donne che compongono il suo Governo è al maschile: “il Presidente e “il Ministro.

Diciamo dunque che se all’atto della sua assunzione del ruolo di Presidente del Consiglio e della nomina dei membri del Governo Lei ha usato il maschile, la sua presentazione della lista può perfino essere considerata impeccabile. L’impeccabilità però si ferma lì e ci accingiamo a indicarne il perché.

Se le cariche pubbliche e i ruoli istituzionali sono scritti al maschile è perché TUTTE le cariche pubbliche sono state pensate SOLO per i maschi nei secoli bui del patriarcato, le cui propaggini giungono ancora oggi sino a noi.

Lei e i membri del nuovo governo avete giurato sulla Costituzione. Tutta al maschile. Ricordiamo le circostanze e le date di quando è stata scritta quella Carta. Era stato CONCESSO alle donne il voto attivo da poco (31 gennaio 1945) e poco dopo venne loro CONCESSO di potere anche essere elette (voto passivo, 10 marzo 1946).
Era pensabile che nel giro di brevissimo tempo (25 giugno 1946 - 31 gennaio 1948) le (poche) madri e i (molti) padri costituenti operassero una rivoluzione del linguaggio? No, ALLORA non era pensabile. OGGI sì.

C’è un articolo della Costituzione che recita:
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
È l’articolo 3 e Lei lo conosce.

Vede, Presidente, la consuetudine di analizzare le parole ci ha condotte, ormai da molti anni, a riflettere sulle leggi. La Costituzione, poi, è il “Libro fondamentale” della nostra Repubblica, come si fa a non esaminarne gli articoli? E così Le chiediamo:
1 - affermare che tutti i cittadini abbiano pari dignità sociale e siano eguali davanti alla legge può riguardare SOLO le leggi ordinarie e non anche la legge fondamentale della Repubblica, ovvero la Carta costituzionale?

2 – se tale affermazione riguarda anche la stessa Costituzione, non crede che l’oscuramento del sesso femminile, di cui soffre anche la nostra Carta, sia da considerare in contrasto con la pari dignità sociale di cui al primo comma dell’art. 3?

3 – Se il secondo comma dell’art. 3 afferma che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana», non crede che il linguaggio tutto al maschile della Carta costituzionale vada cambiato?

Lei è la prova vivente degli anni intercorsi dal varo della Costituzione (1948) sino al momento in cui UNA DONNA è stata posta a capo della Presidenza del Consiglio in Italia (2022). Non ci sono voluti 74 anni per caso.
Peraltro, Lei è stata obbligata nei fatti a confrontarsi con l’impianto maschile del sistema, venendosi a trovare al centro di contestazioni linguistiche di cui un Presidente di sesso maschile non avrebbe mai potuto fare esperienza, dato che il linguaggio giuridico è stato tagliato su misura per vestire con abiti appropriati solo i maschi.
La sua presenza non ha solo infranto il tetto di cristallo, ha sconvolto le sonnolenze usuali, ponendo persino coloro che di linguaggio e di leggi non si erano mai voluti occupare di fronte alla ridicola realtà di un vuoto linguistico codificato.

Presidente, sappiamo che Lei ha in programma di modificare la Costituzione nel senso di rendere il nostro Stato una repubblica presidenziale.
Non vogliamo affrontare qui questo problema complesso, che molte di noi non hanno ancora sviscerato a sufficienza e che non ci trova tutte della stessa opinione. Non è questo il tema del nostro scritto oggi.
Quel che ci interessa invece porre in luce è che l’idea di una modernizzazione della Carta non Le è estranea. Allora Le chiediamo: perché non pensare preliminarmente a una modernizzazione del linguaggio, rendendo la Carta costituzionale uno scudo sociale tangibile per tutte le donne?

Lei sarà anche conservatrice, come afferma, ma non può esserlo al punto da voler mantenere inalterata un’arcaica definizione dei ruoli, tipica di tempi storici ben più ingessati dei nostri. Come si può dimenticare che quelle formulazioni linguistiche sono state ereditate, a dispetto della rielaborazione dei contenuti, dal sistema legislativo del precedente regime monarchico, paradigma di un clima sociale che considerava lecito estromettere le donne non solo dal potere politico ma perfino dai fondamentali diritti della persona?

Il suo conservatorismo dichiarato non l’ha portata ad autoescludersi in omaggio a una tradizione, che nelle stanze più alte del potere ha voluto sin qui soltanto gli uomini. Il suo essere donna, al di là delle tante diversità delle donne, Lei non lo nasconde anzi lo proclama.
Faccia di più. Apra le porte all’aria fresca del cambiamento. Promuova, ora che è arrivata dov’è, una “rivoluzione” del linguaggio. Cominci dal protocollo del cerimoniale (cosa ben più immediata e agevole di una modifica linguistica della Costituzione), affinché l’altra donna che un giorno Le succederà non sia obbligata da un documento, degno di parrucconi di secoli oscuri, a parlare di se stessa e delle altre donne di governo al maschile, mimetizzando pudicamente, sia pure non per propria scelta ma come dogma patriarcale richiede, la propria costitutiva identità.

Nell’attesa, Le porgiamo i nostri saluti.

Aderiscono: Giovanna Berna,  Angiola Pitzalis, Ester Rizzo, Pierina Di Salvo, Marina Petrucci, Alessandra Adesso, Nathalie Niki Pellegrino, Roberta Fumagalli , Ekaterina Menchetti, Daniela Fusari, Sara Marsico, Daniela Anna De Carlo, Laura Simeone, Danila Baldo, Giovanna Ferrari, Iole Granato, Grazia Speranza, Floriana Baldassi D'Arrigo.     

31 Ottobre 2022
Inviata per Pec l'1.11.2022

© Iole Natoli

Hanno aderito dopo l'invio della mail: Silvia Magistri, Carmen Mirabella, Concetta Contini, Anna Rita Strina, Serafina Di Majo, Idanna Matteotti.

mercoledì 26 ottobre 2022

THE PRESIDENT / Lettera aperta a #GiorgiaMeloni


In Italia THE PREMIER è una Donna

Alla cortese attenzione dell’Onorevole Presidente Meloni
(formula che ci consente di dribblare l’antitesi Signore/Signora o Egregio/Egregia...)

Di Iole Natoli

Governo Italiano - Presidenza del Consiglio dei Ministri (Note legali), CC BY 4.0, via Wikimedia Commons


Onorevole Presidente,

siamo consapevoli della sua legittima e assoluta necessità di occuparsi al momento di cose molto più urgenti che non di definizioni lessicali legate alle Politiche di Genere (oltre che alla grammatica italiana) e quindi, nel sottoporLe la questione, dichiariamo IN PARTENZA che ci sentiremo soddisfatte anche se Lei ci risponderà non adesso ma fra molto tempo, tutto quello che Le occorrerà per darci non un riscontro d’impeto – la meditazione di solito è proficua – ma uno dopo attenta riflessione.

Nel suo discorso programmatico alla Camera Lei ha posto all’attenzione generale il tema della presenza attiva e decisiva delle donne nella società e nelle istituzioni italiane. Lei ha evidenziato come il ruolo di Presidente che Lei oggi ricopre rappresenti una rottura epocale del tetto di cristallo che ha sempre impedito alle donne, in Italia, di assurgere a una delle massime cariche istituzionali dello Stato.

Onorevole Presidente, Lei è certamente consapevole del fatto che un/a Presidente del Consiglio rappresenta TUTTA la popolazione italiana e non solo il proprio elettorato o la propria coalizione e dunque anche quella parte della popolazione che non ha votato per la coalizione che l’ha espressa. Non serve che su questo noi insistiamo.

C’è un altro aspetto però, strettamente collegato all’infrazione del tetto di cristallo da Lei giustamente rivendicata. Noi riteniamo di avere il diritto di riconoscerci, IN QUANTO DONNE, nella prima Presidente del Consiglio che sia o non sia della nostra stessa corrente o posizione, proprio perché Lei è la PRIMA Presidente e dunque porta con sé un valore aggiunto rispetto a un Presidente, uno dei tanti che hanno fin qui costellato la nostra storia.

Vede, Presidente Meloni, tutte noi - di sinistra, di centro, di destra, di sopra, di sotto e di traverso - abbiamo avuto il bene di studiare la nostra lingua, la lingua italiana che viene insegnata in tutte le scuole di ogni ordine e grado e in alcune facoltà universitarie. La nostra lingua, come Lei ben sa – e come mostra di sapere quando usa il femminile per se stessa, tranne quando si definisce Premier o Presidente – non possiede il genere neutro come la lingua inglese, la tedesca e perfino la lingua latina da cui la nostra deriva. NON HA UN NEUTRO.

Lei ritiene che non serva usare il femminile se l’articolo precede i termini Premier e Presidente – dinanzi al suo cognome pensiamo che anche Lei lo userebbe e che non direbbe di sé “il Meloni” – e che “IL” sia un assoluto a cui doversi inchinare. Non stiamo usando il verbo “inchinare” per caso.

Sa qual è il punto? Non dovrebbe stare a noi chiederLe di rispettare il nostro genere anche nel linguaggio con cui pubblicamente si (e ci) rappresenta ma dovrebbe essere Lei a spiegarci il perché di questa sua affezione al maschile, che contrasta macroscopicamente con le regole della lingua italiana.

Sappiamo bene che non è la sola. Negli anni scorsi abbiamo appreso di una Professoressa universitaria che insisteva per essere chiamata Professore, di qualche Direttrice di quotidiani e riviste che voleva essere chiamata Direttore, insomma questa confusione grammaticale da parte di alcune donne non ci è nuova e sappiamo anche che ha origini classiste
La Professoressa-Professore non voleva essere confusa con le Professoresse delle scuole secondarie (ohibò, che basso livello!); la Direttrice-Direttore di un organo di stampa non voleva essere assimilata alla Direttrice di un albergo, di una mensa scolastica, di un asilo nido o di qualsiasi cosa che, a suo parere, fosse di rango manifestamente inferiore al suo… e così via.

Lei ritiene che un fondamento classista sia adeguato alla funzione di prima-donna-che-infrange-il-tetto-di-cristallo, che nei fatti le compete?

Comprendiamo il suo probabile brivido di orrore suscitato dal termine “presidentessa”, elefantiaco e peraltro non necessario. Non necessario perché presidente, come tutti gli aggettivi e sostantivi che derivano da un participio presente e che hanno la terminazione finale in -e, sono automaticamente bivalenti, nel senso che rimangono identici per entrambi i sessi MA prevedono la variazione dell’articolo in relazione al genere della persona a cui si riferiscono. L’assistente, diventa un assistente o un’assistente a seconda che ci si riferisca a un uomo o a una donna; conducente prevede il conducente e la conducente; manifestante diviene il manifestante o la manifestante; cantante lo troviamo come il cantante o la cantante. Potremmo continuare   a lungo ma riteniamo che il nostro pensiero Le sia già chiaro.

La scure che Lei abbatte sulla sua figura di donna al potere non concerne solo la Presidenza; Lei ci restituisce al maschile anche le donne - non molte, in verità - che ha destinato ad alcuni Ministeri. E allora Le rivolgiamo la domanda: su che cosa poggia la sua decisione di negare il genere femminile delle persone che ricoprono ruoli governativi?

“Perché esiste il ruolo di Ministro!”, potrebbe rispondere Lei, o forse no. Qualcuna in passato lo ha detto, ma NON è così. Esiste la persona che regge un Ministero, che ne è a capo e che da quel Ministero trae il suo ruolo; infatti Lei prima ha definito le denominazioni dei vari Ministeri (ciascuno con una funzione, organizzata mediante una serie di uffici) e dopo ha provveduto alle assegnazioni.

Onorevole Presidente, vi sono cattedre universitarie che sul tema degli studi linguistici e di genere hanno dibattuto approfonditamente con competenze specifiche. Esiste una messe di pubblicazioni che Lei potrebbe utilmente consultare, qualora questo nostro scritto non dovesse apparirLe esaustivo.

Noi ci fermiamo, rimanendo in attesa che Lei trovi prima o poi uno spiraglio di tempo, per poterci dare consapevolmente una risposta che non sia una superficiale battuta liquidatoria.

Come già detto, non intendiamo metterLe fretta; del resto, la domanda non cambierebbe 
anche se Lei ci dovesse rispondere tra mesi. Di conseguenza, a conclusione di questa lettera, Le ripetiamo: su che cosa poggia la sua decisione di negare il genere femminile delle persone che ricoprono ruoli governativi?

AugurandoLe buon lavoro – e ciò a prescindere dalla posizione politica, analoga o diversa dalla sua, di alcune di noi – Le porgiamo i nostri migliori saluti.

Aderiscono: Giovanna Berna, Giuditta Perriera, Silvia Sammarco, Silvia Magistri, Angiola Pitzalis, Iole Granato, Milena De Palma, Angela Bottari, Ekaterina Menchetti, Alessandra Adesso, Carmen Mirabella, Roberta Fumagalli, Anna Rita Strina, Idanna Matteotti.

Nota aggiunta il 27.10.2022. Aderiscono dopo l'invio della mail alla Presidente: Floriana Baldassi D'Arrigo, Ester Rizzo, Chiara Longo, Dale Zaccaria, Valentina Talamonti, Nathalie Niki Pellegrino, Pierina Maria Di Salvo, Frida Bertolini, Anna Maria Salvio.

26 Ottobre 2022
Inviata per mail i
l 27.10.2022

 

© Iole Natoli

mercoledì 29 giugno 2022

Chiaramente…“L’Uomo” non include le Donne, a meno che “La Donna” non includa anche gli Uomini

LINGUAGGIO – Ogni tanto qualcuno ci ascolta

di Iole Natoli

Finita, per la lettura di un articolo dell’Ass. Coscioni sull’aborto, sul sito “notiziegeopolitiche.net”, sono andata a curiosare sulle info e sulla pagina Collaborazioni. Il mio “occhio”, sensibilissimo al linguaggio, ha messo a fuoco una frase comune, sì, ma non condivisibile da una donna, specie se femminista: L’Uomo, infatti, è tale in quanto parte integrante ed attiva di un mondo in continuo divenire”. Ho scritto di conseguenza alla redazione, chiedendo di apportare una modifica. Il direttore Enrico Oliari si è dichiarato e dimostrato immediatamente disponibile, accogliendo senza nessuna difficoltà anche la mia proposta di sostituire L’Uomo con La persona umana.

Caso più unico che raro? Probabilmente sì. Ci sono infatti altre modifiche da chiedere e questa volta non a una redazione ma allo Stato. Sarà infatti molto più complesso convincere gli addetti ai lavori sulla necessità di modificare la dizione della nostra adesione alla CEDU, attualmente descritta come “Convenzione dei Diritti dell’Uomo”, in omaggio alla Francia che ci tiene a riallacciarsi al suo storico 1789, e non come "Convenzione dei Diritti Umani (Derechos Humanos, in Spagna), molto più adatta a una Convenzione che ha tra i suoi principi fondanti il divieto di discriminazione per sesso (ovvero nel mostro caso delle donne). Io però, cinque anni fa, ho cominciato a raccogliere le firme. Quando potrò - finalmente! - "liberarmi" dal mio impegno per il cognome materno, presenterò la mia petizione al Parlamento. Dopo la fondamentale "guerra al sistema patriarcale" rappresentata dalla lotta per il cognome materno, rimarranno infatti ancora altre battaglie da condurre e da vincere.

Milano, 29.06.2022

 

© Iole Natoli

sabato 14 maggio 2022

PURCHÉ SI RIDA e la moltiplicazione dei cognomi - Lettera aperta a Luciana Littizzetto

Da «Il Cognome Materno in Italia nei matrimoni e nelle convivenze» 

PURCHÉ SI RIDA
di Iole Natoli

da repubblica.it - vai al video

Da una donna creativa e intelligente che è presente sulla scena da molti anni e dispone di vari strumenti comunicativi, ci si attenderebbe un rispetto verso i diritti e la dignità delle donne che evidentemente difetta. Abbiamo nostro malgrado dovuto notarlo già in passato, quando a far le spese del dileggio sono stati l’uso del femminile nelle cariche istituzionali e professionali (link) e una persona che tale legittima prassi difendeva, ovvero la oggi ex presidente Laura Boldrini.

Il recente intervento a Che tempo che fa sulla "moltiplicazione dei cognomi" si configura come diffusione difficilmente inconsapevole – Luciana Littizzetto dispone di ogni strumento culturale e pratico per informarsi in anticipo – di una deformazione non indolore del vero, che strizza praticamente l'occhio alla reazione.

Prendere di mira i “benaltristi” e le loro incoerenti teorie di proliferazione dei cognomi - che trovano smentita immediata nelle prassi esistenti in tanti altri paesi, tra cui la Spagna, e che non hanno alcun fondamento nella realtà come chiunque si sia preso la briga non particolarmente massacrante di analizzare i progetti di legge  in Parlamento avrebbe potuto e può verificare - sarebbe stato altrettanto produttore di risate ma presumibilmente non di altrettanti consensi, nella valutazione della versatile e abitualmente irresistibile Luciana.

Così nel mirino della sua comicità è finito, con un effetto di appoggio e allargamento a pioggia, l’inesistente, visto che la finestra temporale entro la quale la nuova normativa – questa volta non illegittima - dovrà essere approvata può essere ormai molto breve e considerato, peraltro, che la legge in arrivo porterà via con sé anche il ricorso al giudice nei casi di dissenso tra i genitori sull’ordine dei cognomi nel doppio, che è al momento conseguenza ineliminabile di una modifica in storico ritardo legislativo.

Come chiunque abbia letto magari una sola volta in vita sua la Costituzione già sa, la Corte costituzionale non può infatti legiferare per rispetto della divisione dei poteri, ma DEVE comunque eliminare le discriminazioni, in questo caso per sesso e a svantaggio delle donne, nonché le violazioni di quell’autonomia dei cittadini nella conduzione della propria vita privata, che l’art. 8 della CEDU – dall’Italia da tempo sottoscritta ma mai rispettata nello specifico – tutela.

Le donne che hanno atteso per anni che la loro soppressione arbitraria dal cognome dei figli fosse, come da Costituzione, una volta per tutte eliminata non hanno preso molto bene lo show di Littizzetto dell’8/5/2022. Lo dimostra la lettera che ci viene inviata e che qui pubblichiamo.

LETTERA APERTA a Luciana Littizzetto
di Giovanna Berna

 

da due foto di pressfoto e Racool_studio per it.freepik.com

Gentile Signora Littizzetto, 
temo che Lei sia terribilmente indietro.

Al tempo in cui le donne avevano l’obbligo di assumere il cognome del marito (tempo che risulta curiosamente attuale per lo stato italiano, che lo appioppa ancora sulle tessere elettorali o in alcuni comunicati ufficiali alle donne), ci aveva pensato già il grande Totò ad ironizzare sulla signora “Trombetta in Bocca”, decisamente più plausibile

e, mi perdoni, più divertente del signor Dita Nel Naso.
Invece, l’altrettanto grande Massimo Troisi lo aveva fatto sulla lunghezza del nome, dove “Massimiliano” avrebbe consentito al bambino di fuggire prima di prendersi la genitoriale reprimenda del momento, mentre un “Ugo” sarebbe risultato eccessivamente perentorio ed immobilizzante. 

Ecco, forse Lei ritiene che quest’ultima situazione sia più auspicabile, affinché le maestre possano richiamare i bambini e ancor di più le bambine, di solito non menzionate, brevemente e, anche  in questo caso, perentoriamente alla loro esclusiva appartenenza alla paterna patria potestà?  Ma forse non è a conoscenza che la patria potestà è stata abolita ed esiste la “responsabilità genitoriale” e guarda caso i genitori sono due, anche se solo UNA dei due partorisce, proprio quella esclusa all’anagrafe? 

Farsi un sacco di risate sui guasti che porterà la fine di un secolare sopruso non è quanto di meglio ci si possa aspettare dalla satira o anche da una più banale e sana comicità. 
Tempi duri, quando anche i comici di mestiere sghignazzano sulla cancellazione del femminile. 
Dico  “comici”, al maschile, per adeguarmi alle sue preferenze ma anche perché Lei è di certo un bravissimo comico. 
Noi donne, però, preferiremmo una comica, capace di far ridere senza bisogno di screditare il suo stesso genere.

Con i miei migliori saluti,

G. B.

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Riferimenti per le immagini


Il video di Repubblica.it di cui alla prima immagine è visibile a questo link:
https://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/l-ironia-di-luciana-littizzetto-sul-doppio-cognome-le-maestre-impiegheranno-un-ora-a-fare-l-appello/415216/416150

La foto successiva è un’elaborazione di Giovanna Berna di due foto di it.freepik.com

-       la prima creata da pressfoto
https://it.freepik.com/foto-gratuito/giovane-donna-asiatica-che-posa-nello-studio-in-cappello-del-partito-e-con-il-trombetta_5576701.htm

-       la seconda da Racool studio
https://it.freepik.com/foto-gratuito/martello-da-tribunale-e-libri-giudizio-e-concetto-di-legge_8760889.htm#