Quella Madre che non è Madre
è come un Padre |
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Fatto di cronaca. Nascono due gemelli in Italia e le due donne fanno richiesta di riconoscimento dello status di madre per ciascuna di loro, a cui conseguirebbe l’attribuzione ai bimbi del cognome di entrambe. L’Ufficiale di Stato civile di Anghiari si rifiuta e la coppia si rivolge al Tribunale di Arezzo. Chiamato a una valutazione del problema, il Tribunale rigetta il ricorso (link). Ora, è possibile che qualcuno manifesti anche per il caso specifico delle riserve, a causa della pratica innaturale di espianto a cui si è sottoposta una delle due donne, nonché del bombardamento ormonale innaturale a cui si è sottoposta l’altra, ma non si può sottacere che le due donne hanno fatto tutto ciò non a beneficio di terzi ma per una decisione spontanea e interna alla coppia, scelta che avrebbe dovuto apportare un beneficio a ciascuna delle due, nonché al bambino. Qualunque cosa se ne voglia pensare, non è possibile esimersi da alcune valutazioni particolari che per obiettività vanno fatte. 1 – Non siamo dinanzi a un caso di utero in affitto, giacché la donna partoriente non ha affrontato la gravidanza e il parto PER ALTRI ma per se stessa e per l’altro membro della coppia, dunque non è stata resa strumento, non ha subito alienazione. Ha voluto farlo per essere fisicamente inclusa nella relazione genitoriale, della quale si sarebbe presumibilmente sentita meno partecipe se a partorire fosse stata la compagna, ovvero la stessa donna cui apparteneva l’ovulo. Infine, la donna partoriente si prenderà cura personalmente del bimbo messo al mondo e non lo cederà a una qualche committenza. In pratica, il figlio non verrà mai amputato della naturale relazione psicofisica con la gestante, che assumerà a tutti gli effetti il ruolo di Madre; 2 – il fatto che la fecondazione eterologa sia ammessa per una coppia eterosessuale fa sì che una donna a cui sia stato impiantato un ovulo estraneo, fecondato con i gameti del compagno o marito, possa essere considerata MADRE del bimbo partorito – e fin qui la situazione corrisponde a quella di cui stiamo trattando; 3 – il fatto che la fecondazione eterologa sia ammessa per una coppia eterosessuale fa sì che un uomo la cui compagna o moglie abbia fatto ricorso alla fecondazione del proprio ovulo con gameti di un altro uomo sia considerato padre del figlio partorito dalla compagna (e automaticamente all’interno di un rapporto matrimoniale), anche se il figlio avrà ricevuto metà del suo patrimonio genetico da un altro uomo, ovvero da un membro estraneo alla coppia – e qui la situazione differisce radicalmente (con l’appoggio della legge 40/2004 non sufficientemente impugnata) da quella di cui stiamo trattando; 4 – qualsiasi cosa possa decidere un Tribunale, il fatto che quel bimbo sarà collegato per una metà del suo patrimonio genetico a quello della compagna-donatrice della coppia considerata non potrà essere negato o dimenticato; 5 – il fatto che un uomo possa riconoscere un figlio non riconosciuto alla nascita SOLO IN QUANTO responsabile di una metà del patrimonio genetico del bimbo e che questo riconoscimento può essere effettuato perfino in caso di opposizione della madre di quel figlio, giungendo anche all’attribuzione del cognome se avallata da un giudice, è un fatto noto, è un diritto garantito all’uomo che nessuno può sottrargli. Ne conseguono alcune domande. a - perché un uomo può riconoscere un figlio se da un esame del DNA risulterà che egli sia colui da cui il figlio ha avuto una metà del suo patrimonio genetico, mentre una donna nella sua stessa situazione (il bimbo del caso di Arezzo ha indiscutibilmente per metà un patrimonio genetico avuto dalla donatrice) non può essere considerata GENITRICE di quel figlio, pur essendo peraltro legata alla partoriente da uno stabile rapporto di coppia? b - Forse i gameti maschili sono più importanti, pregiati o autorevoli di quelli femminili? La genetica ci dice di no. c – Forse è necessario che la donna a cui apparteneva l’ovulo si dichiari Padre e non Madre? Ciò servirebbe a far quadrare il cerchio? d - Dove sta la ratio, dunque la base logica e scientifica – che contrasta con quella giuridica attuale – in virtù della quale considerare eticamente accettabile quella sentenza? Deriva da queste considerazioni un giudizio di incompetenza del
Tribunale di Arezzo? La valutazione sembrerebbe inoppugnabile, se non fosse che quel che ne consegue viene applicato SOLO nel caso di lesbiche e non di gay. A un gay che ha generato ricorrendo alla Gpa, vietata in Italia come lo è il ricorso all’eterologa per coppie lesbiche, non viene disconosciuta la sua paternità ma solo il diritto di conferire analogo statuto al compagno che non ha dato nessun contributo biologico per la nascita del figlio, ovvero al cosiddetto genitore intenzionale. Nel caso delle due donne e del comune di Anghiari, invece, alla donna che esattamente come il gay considerato ha “erogato” i suoi gameti, lo status di genitrice viene negato contro ogni evidenza. In altri termini, qui non si tratta, o non si tratta solo, di discriminazione nei confronti dell’omosessualità ma in primo luogo di discriminazione radicale nei confronti della donna, i cui gameti sono valutati in modo difforme - e per lei penalizzante - dai “sacri lombi” generativi del maschio, eterosessuale o omosessuale che sia. Ricordiamo che le conclusioni di
un procedimento giudiziale sono sempre condizionate dai termini in cui è
stata formulata la richiesta. |
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7 Dicembre 2022 Andare a Riflessioni incrociate sul caso della procreazione “ripartita” di una coppia lesbica di Anghiari, link |
mercoledì 7 dicembre 2022
Quando IL DIRITTO nega la realtà / I figli della coppia lesbica unita civilmente e la sentenza di AREZZO
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