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sabato 14 gennaio 2023

Riflessioni incrociate sul caso della procreazione “ripartita” di una coppia lesbica di Anghiari

Procreazione, Genitorialità e Natura / Il Paradosso
Di Iole Natoli

Foto di Karen Warfel da Pixabay

Mi fa piacere che il mio articoloQuella Madre che non è Madre è come un Padre / Quando IL DIRITTO nega la realtà”, nato da un caso concreto inusuale, abbia suscitato tre riflessioni altrui apparse quasi in contemporanea sul sito di noidonne, sui temi della procreazione assistita, delle manipolazioni genetiche e del futuro della specie umana.

Il caso di riferimento è quello di una coppia lesbica di Anghiari unita civilmente, che ha scelto di ricorrere all’estero alla fecondazione con seme di un donatore, “ripartendosi” poi concretamente la maternità di un figlio (anzi di due gemelli), a quanto pare per ragioni mediche. Così l’una delle due signore si è sottoposta alla fecondazione di un proprio ovocito e l’altra si è resa poi gestante-partoriente.
In Italia, il Tribunale di AREZZO ha negato alla titolare dell’ovocito il diritto di essere considerata madre, riconoscendo solo alla partoriente lo statuto.

In relazione alle tre riflessioni di cui ho sopra - “Non prendiamo ad esempio i maschi” di Antonella Nappi, “Procreazione e genitorialità” di Giovanna Cifoletti,  E La Natura?” di Alfonso Navarra – sono obbligata a una precisazione preliminare partendo dallo scritto di Nappi, che mi attribuisce qualcosa che non corrisponde al mio pensiero e al mio testo.

Scrive Nappi che io lamenterei “una discriminazione rispetto alla doppia genitorialità che ottengono le coppie di maschi omosessuali da parte delle istituzioni italiane”. No, io non ho affermato questo, ho fatto un’analisi di altro tipo (utile una rilettura del testo). Peraltro io non “lamento”, non avendo oggi nessun interesse specifico per la procreazione; ho due figlie avute “naturalmente” in giovane età, non conosco le due protagoniste del caso e meno che mai sono la loro rappresentante legale. Di conseguenza non lamento ma rilevo – potrei tutt’al più “denunciare” - l’esistenza a livello logico di una discriminazione ad ampio raggio, che costituisce un vulnus giuridico e va dunque analizzata e risolta. Il come è da valutare, ma intanto bisogna riconoscere che, relativamente al sistema giuridico italiano, tale vulnus c’è.

Molte delle considerazioni che vengono fatte nei tre scritti altrui sono importanti ma, per evitare fraintendimenti dannosi, occorre per prima cosa distinguere tra quel che vorremmo che la comunità umana diventasse, quel che essa al momento è e quel che prevede il sistema giuridico nella regolamentazione della vita dei cittadini che abitano il territorio chiamato Italia. Se mescoliamo indebitamente i tre piani, rischiamo di produrre confusione e quel che ho scritto nel mio articolo riguardava espressamente il sistema legislativo italiano.

Quanto alla scelta operata dalla due signore di Anghiari, questa non nasce dal nulla ma dal fatto che la comunità globale in molti Stati pone a disposizione della popolazione umana tecnologie atte a rispondere a taluni desideri della specie. Che questi desideri siano o non siano accettabili è argomento che va affrontato, eventualmente, a parte. Di fatto in molti Stati esteri è possibile ricorrere a inseminazioni artificiali, a impianti estranei nell’utero e perfino a Gestazioni Per Altri (la GPA contro la quale mi sono espressa più volte) per soddisfare i desideri di filiazione espressi da singoli o da coppie.

Cosa dice in proposito la legge nel nostro Stato? Considera reato la GPA e quindi la vieta in Italia, ma nel Paese rientrano tranquillamente coppie gay con pupo al seguito, nato tramite GPA in altri Stati e lo Stato italiano non può punirle. Come mai? Perché l’entità della pena prevista NON lo consente. Infatti, «come da artt. 9 e 10 del codice penale» SOLO «per una pena superiore a tre anni il reato sarebbe perseguibile in Italia anche se commesso dal cittadino in territorio estero e nei confronti di una o di uno straniero». Questo è uno dei tanti “buchi” del sistema legale di cui ho scritto in passato e che ci siamo abituati a ignorare.

Nel caso di cui ci stiamo occupando NON siamo in presenza di una GPA, dato che la donna che ha condotto la gravidanza NON lo ha fatto per altri ma per sé e la propria compagna. Ci va bene, non ci va bene, non è questo il punto. Occorre definire con precisione gli elementi del fatto e analizzarli in relazione alle leggi esistenti e a ciò che dall’applicazione delle leggi in corso di validità deriva per i soggetti interessati all’evento. Visto che non si tratta di GPA possiamo esimerci dal parlarne? No e il perché lo esporrò a breve.

Prima vorrei passare a un altro aspetto su cui si è soffermata Cifoletti: la parcellizzazione della maternità.
Di parcellizzazioni io ne individuo due. Una è quella che scinde la figura del padre nei casi di eterologa con donatore estraneo alla coppia, svuotando l’apporto del padre dell’elemento genetico e limitandone il ruolo alla funzione di allevamento ed educazione del nato. L’altra è quella che scinde la figura della madre nei casi di eterologa con donatrice estranea alla coppia, svuotando l’apporto della madre dell’elemento genetico e limitandone il ruolo alla funzione gestativo-partoriente e di allevamento ed educazione del nato.

Nel caso della coppia di Anghiari abbiamo una situazione che non coincide con le due su descritte. C’è una parcellizzazione della maternità ma la donatrice questa volta non è estranea alla coppia e c’è una cancellazione della figura sociale paterna, pur esistendo un apporto maschile, ovvero quello di un donatore di gameti che è stato essenziale per il “concepimento”.

Ora la parcellizzazione della maternità, attuata dalla coppia in questione, non fa il suo ingresso sulle scene con quella scelta indubbiamente insolita. Prende il via con altri soggetti molto prima nel mondo e in Italia inizia nel momento in cui per una sentenza della CEDU e una successiva della Corte costituzionale, che possono piacere o meno ma che non è possibile ignorare, quella parte della legge 40/2004 che limitava la procreazione assistita all’utilizzo solo di gameti degli aspiranti genitori è caduta, aprendo non solo al ricorso a gameti maschili di un donatore esterno, ma altresì al ricorso a gameti femminili estranei, che andavano cioè a sostituire l’apporto biologico naturale della donna che avrebbe poi partorito il figlio. Per evitare equivoci, preciso che tale “ampliamento” è stato attivato solo per i casi in cui almeno uno dei gameti, il maschile oppure il femminile, utilizzato per quella procreazione sia di un elemento della coppia.

La parcellizzazione della maternità comincia da qui e non possiamo metterci la benda sugli occhi per far finta che non esista o per vederla solo in alcune delle sue conseguenze. Una donna ETEROSESSUALE che utilizza un ovocito di un’altra donna sta parcellizzando il suo contributo, infrangendo l’unità del ruolo naturale materno e lo fa con il consenso della legge. Partorisce un essere umano a lei del tutto estraneo biologicamente (fatte salve talune “espressioni genetiche” che avvengono in gravidanza, per effetto del corpo ospitante) e diventa automaticamente “madre” per la legge italiana (e infatti, coerentemente almeno in questo, madre è stata considerata anche la partoriente nel caso di quella coppia lesbica).

Che poi l’eterologa in Italia sia lecita solo nel caso in cui uno dei membri della coppia eterosessuale non sia in grado di procreare per un difetto fisico non cancella la parcellizzazione operata. Non sposta di una virgola il fatto che il nato non sarà mai in relazione con il “fornitore di materiale genetico” (fisicamente definibile come padre biologico) che scompare, o con la “fornitrice di materiale genetico” (fisicamente definibile come madre biologica) che scompare. C’è un intervento biologico SOSTITUTIVO che di “naturale” non ha proprio nulla ma che viene dichiarato valido per pura convenzione giuridica.

La Natura, di cui scrive Navarra, in Italia è stata dunque piegata ai desideri già con la modifica della legge 40 e i desideri non diventano più belli e più nobili se ad averli è una coppia omosessuale o eterosessuale. Il criterio deve essere un altro. I desideri possono essere o no realizzati a seconda delle conseguenze che comportano per chi ne diviene l’oggetto, in primo luogo la persona di cui non si è parlato: il figlio o, ovviamente, la figlia.
Che il Tribunale di Arezzo si sia trovato in difficoltà appare ovvio. Che però la decisione presa sia stata logica e coerente è da dimostrare.

Torniamo dunque alle coppie costituite da omosessuali maschi. Abbiamo già visto come a una coppia gay che ricorra all’estero alla GPA vietata in Italia non possa essere applicata nessuna sanzione. Cosa accade al rapporto di filiazione? Al “padre” erogatore di sperma viene riconosciuta senza battere ciglio la genitorialità, in virtù del suo apporto biologico, ovvero della “fornitura genetica” operata. Ma “fornitura genetica” allo stesso titolo è quella attuata dalla donatrice di Anghiari, membro interno e non esterno della coppia considerata. Su quale base giuridica CONCRETA allora può essere considerata valida la negazione del rapporto di filiazione decisa dal Tribunale di Arezzo?

Che il Tribunale lo riconosca o meno, quel legame specifico esiste ed è più ampio e netto di quello che ci può essere tra una nonna o un nonno e un nipote, legame che nessuno si sognerebbe di negare solo perché non c’è di mezzo un parto. È identico a quello che c’è tra un genitore gay e il figlio, uomo a cui nessuno sottrae la genitorialità per il fatto incontestabile che ha aggirato i divieti delle leggi italiane ricorrendo a una GPA fatta all’estero.
In sostanza un uomo e una donna omosessuali sono trattati con evidenza dalla legge in modo differente e questo non lo possiamo giustificare col fatto che vorremmo, eventualmente, che certe tecnologie non venissero impiegate per la procreazione umana.

Il Diritto non è qualcosa che si può applicare o disapplicare a seconda dell’ideologia personale. Al contrario, il diritto nasce proprio dall’intento di garantire eguaglianza di trattamento ai soggetti umani, A PRESCINDERE dall’ideologia perfino dei giudicanti, ovvero dei giudici. Figuriamoci dei commentatori.

Bisogna che ci si decida: o si deve far qualcosa contro il diritto all’eterologa sancito dalla sentenza della CEDU a cui la legge italiana è stata costretta a uniformarsi (e non so come si potrebbe fare, se lo si ritenesse necessario bisognerebbe seriamente rifletterci su), oppure si accetta la parcellizzazione in tutti quei casi in cui essa si presenta (con l’eccezione della GPA, che introduce ancora altri fattori) e si garantisce uniformità di trattamento a coloro che ricorrano a tecnologie portatrici di conseguenze come quelle del caso in questione.

Aggiungo che ciò che consegue alla decisione del  Tribunale di Arezzo non è soltanto una discriminazione della donna lesbica rispetto all’uomo gay ma è anche una lesione del diritto del figlio di veder riconosciuto legalmente il suo rapporto di discendenza da quella madre.
Non ci possono essere due madri? Nella storia considerata ci sono, perché è indubbio che la gestante partoriente ha messo al mondo un bimbo (anzi due) con tutte le intenzioni di occuparsene, intenzione che aveva e ha anche la madre “donatrice”.

E se poi si volesse affermare che il legame biologico col figlio non può essere riconosciuto nel caso della donna donatrice perché mancante della gestazione e del parto, si opererebbe una discriminazione ulteriore. Ciò perché il materiale genetico di una donna non è meno essenziale nella procreazione di quello di un uomo. Un uomo, omosessuale o eterosessuale che sia, partecipa alla procreazione con dei gameti non più importanti e vitali di quelli con i quali partecipa la donna. Ora, se basta contribuire per metà - valutiamo sommariamente gli apporti genetici con un fifty-fifty, ritenendo innecessario addentrarsi nella complessità dei dettagli - al patrimonio genetico di un figlio per essere considerato genitore, non si può riservare tale privilegio solo all’uomo. Farlo è operare una discriminazione aggiuntiva a quella già individuata e questo non rende onore né alla logica né alle leggi. Crea al contrario una seconda discriminazione (rendendola doppia) che non ha giustificazione di alcun tipo.

Discutere di rispetto della natura, di non assolutezza dei desideri, di rischio dato dalle tecnologie e di visione femminile del mondo è bellissimo e addirittura essenziale, però questi assunti non possono divenire generalizzazioni incontrollate. Tanto per cominciare, non possiamo valutare gli accadimenti attuali in rapporto a mutamenti futuri eventualmente auspicabili, continuando tuttavia ad allocarci in un mondo molto distante dalle nostre visioni ideali. Viviamo OGGI in una società regolata da leggi, alcune accettabili, altre molto meno e dunque da cambiare, ed è con le leggi a cui siamo sottoposti, che a volte ci vessano e altre ci tutelano, che INTANTO dobbiamo fare i conti.

Quando e dove porre limiti ai desideri? Non è facile stabilirlo. Tutti desidereremmo godere di una vita più lunga da trascorrere in buona salute. Le tecnologie ci hanno già aiutato e molto ancora ci aiuteranno a realizzare queste speranze. Pensiamo, per dirne una, alle staminali del cervello che rallentano la sclerosi multipla.

Si dirà che in questo caso si tratta di tecnologie destinate alla vita. Coloro che desiderano dei figli e non possono averli per via normale, o per difetti di natura o per un orientamento sessuale che quel tipo di normalità lo preclude, potrebbero obiettare che loro vogliono proprio una vita: quella di un figlio. Certamente c’è una differenza tra desiderare per la vita di chi è già in vita e desiderare per chi in vita non è, ma censurare un desiderio in sé è improponibile, occorre analizzare quali modalità si attivano o verrebbero attivate per soddisfarlo.

Tornando nuovamente alle eterologhe: contravvengono queste a una necessità effettiva dei figli di conoscere le proprie origini o tale necessità è solo il trasferimento di quella avvertita dagli adottati, che vivono però un dramma diverso quale quello dell’abbandono da parte dei genitori biologici? Se si tratta di una necessità naturale e non derivata dall’assetto sociale dominante, perché mai essa non è presente in talune popolazioni a regime matriarcale, tra cui ad esempio la comunità Moso nella quale la figura sociale del padre biologico non esiste e tale assenza non crea nessun trauma? E se fosse invece una necessità reale, sarebbe ipotizzabile il varo di un qualche provvedimento per rispondervi utilmente anche nei casi di eterologa? In sostanza, dobbiamo alzare solenni barricate contro la fecondazione eterologa o no?

In talune situazioni, seguire i binari segnati dalla natura non è desiderabile.
Per esempio, affidarsi e sottostare alla natura in caso di gravidanze indesiderate dovrebbe implicare la rinuncia agli aborti provocati, che tutelano la vita della donna ma certamente non quella “naturale” del feto.
Un altro esempio è dato dall’eutanasia. Il desiderio di non vivere da vegetale o di non patire sofferenze atroci, scegliendo di morire aiutati medicalmente per effettuare con serenità il trapasso, non si realizza per via naturale; tuttavia molti lo considerano un diritto inalienabile della persona e io sono tra questi.

Le tecnologie sono spesso di aiuto ma possono tramutarsi - e si sono sovente tramutate - in strumenti di alienazione e di morte. Pensiamo a quanto è già accaduto in passato con le atomiche di Hiroshima e Nagasaki e con altri mezzi tecnologicamente perfetti impiegati a scopo di sterminio; pensiamo a quanto sta accadendo oggi in Ucraina con bombe e razzi più o meno super, che producono stragi. Le tecnologie possono salvarci o dannarci per sempre, riducendoci persino ad automi.

Sicuramente c’è molto lavoro da fare non solo per separare le tecnologie utilizzabili da quelle eventualmente da interdire, ma altresì per analizzare i desideri al fine di pervenire a una corretta valutazione dell’adesione ai processi naturali o dell’allontanamento da questi. È un lavoro che va condotto cercando di metter da parte il più possibile i pregiudizi legati alle ideologie. È una strada sicuramente non facile e soprattutto non univoca, nel senso che non prevede soluzioni “trasferibili” mediante generalizzazioni accomodanti.

Concludo col respingere nettamente l’idea che quel mio scritto citato da altri nelle loro riflessioni possa costituire una difesa del sistema di parcellizzazione in sé considerato, o che in un qualsiasi modo vi si possa ravvisare come modello la generatività maschile (eterosessuale o omosessuale che sia), a cui uniformare arbitrariamente la generatività femminile. Al contrario, la specificità generativa femminile io l’ho sempre proclamata e difesa. È da notare però che l’articolo 3 della Costituzione nel sancire che non può esserci discriminazione determinata dal sesso istituisce proprio un raffronto paritario tra i sessi, imponendo un criterio di uguaglianza. Di conseguenza, a livello giuridico, nell’occuparmi del diritto femminile dovrò domandarmi se, nel sistema di vita attuale, quel diritto non sia inferiore a quello riconosciuto ai maschi o viceversa. In altri termini avrò l’obbligo di valutare i fatti in cui mi accade di imbattermi, che mi piacciano o no, in rapporto alle norme esistenti.

Per finire, basterebbe conoscere quanto, a proposito dell’ancora assente legge sul cognome dei figli, mi sia battuta anche mediante la formulazione del concetto di prossimità neonatale per il riconoscimento del contributo esclusivamente femminile alle nascite per intendere correttamente il mio pensiero, che è e resta intrinsecamente femminista, ma che non per questo può essere disposto ad accettare per buone illogicità e discriminazioni manifeste.

 

Link inseriti nel testo:

Iole Natoli - Quella Madre che non è Madre è come un Padre / Quando IL DIRITTO nega la realtà
https://area-femminista.blogspot.com/2022/12/quando-il-diritto-nega-la-realta-i.html

Il caso della coppia lesbica di Anghiari

https://www.rainews.it/articoli/2022/11/diritti-entrambe-madri-di-gemelli-il-tribunale-ne-riconosce-solo-una-58893b01-6cdf-4442-b24f-255c1dbbd3d2.html

Sentenza del Tribunale di Arezzo

https://i2.res.24o.it/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/QUOTIDIANI_VERTICALI/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2022/12/01/Tribunale%20Arezzo%20provvedimento%20mamme.pdf

Antonella Nappi - Non prendiamo ad esempio i maschi
https://www.noidonne.org/articoli/non-prendiamo-ad-esempio-i-maschi-19323.php

Giovanna Cifoletti - Procreazione e genitorialità
https://www.noidonne.org/articoli/procreazione-e-genitorialit-di-giovanna-cifoletti-19325.php

Alfonso Navarra - E La Natura?
https://www.noidonne.org/articoli/e-la-natura-di-alfonso-navarra-19327.php

Non punibilità della Gpa fatta all'estero
https://area-femminista.blogspot.com/2017/03/contro-il-delirio-della-gpa-che-rende.html

Sulla comunità Moso

https://area-femminista.blogspot.com/2014/04/societa-viaggio-in-una-comunita.html  
e  http://kultbazaar.blogspot.it/2014/05/documentario-sui-moso-dove-il.html

Sulla Gpa: sezione 07 dell’elenco
https://area-femminista.blogspot.com/p/note-informative.html

Specificità generativa femminile: Petizioni e Lettere aperte sul cognome materno
https://ilcognomematernoinitalia.blogspot.com/p/petizioni-e-lettere.html

 

15 Gennaio 2023

 

© Iole Natoli


mercoledì 7 dicembre 2022

Quando IL DIRITTO nega la realtà / I figli della coppia lesbica unita civilmente e la sentenza di AREZZO

Quella Madre che non è Madre è come un Padre
Considerazioni su una sentenza italiana del novembre 2022
Di Iole Natoli

Foto di Karen Warfel da Pixabay

Fatto di cronaca.
Una coppia lesbica vuole un figlio e pensa di rafforzare non solo la relazione di coppia ma la relazione di ciascuna componente con il futuro figlio ricorrendo a una soluzione inusuale. La donna che partorirà non offrirà alla creatura in progetto l’apporto genetico ma solo quello della gravidanza e del parto, facendo impiantare nel proprio utero l’ovulo dell’altro membro della coppia, ovvero della propria compagna, fecondato tramite fecondazione eterologa compiuta in altro stato (in Italia la Legge 40/2004 non lo consente in caso di coppia omosessuale).
Sembra loro l’uovo di Colombo, ma la realtà sarà un’altra.

Nascono due gemelli in Italia e le due donne fanno richiesta di riconoscimento dello status di madre per ciascuna di loro, a cui conseguirebbe l’attribuzione ai bimbi del cognome di entrambe. L’Ufficiale di Stato civile di Anghiari si rifiuta e la coppia si rivolge al Tribunale di Arezzo. Chiamato a una valutazione del problema, il Tribunale rigetta il ricorso (link).

Ora, è possibile che qualcuno manifesti anche per il caso specifico delle riserve, a causa della pratica innaturale di espianto a cui si è sottoposta una delle due donne, nonché del bombardamento ormonale innaturale a cui si è sottoposta l’altra, ma non si può sottacere che le due donne hanno fatto tutto ciò non a beneficio di terzi ma per una decisione spontanea e interna alla coppia, scelta che avrebbe dovuto apportare un beneficio a ciascuna delle due, nonché al bambino. Qualunque cosa se ne voglia pensare, non è possibile esimersi da alcune valutazioni particolari che per obiettività vanno fatte.

1 Non siamo dinanzi a un caso di utero in affitto, giacché la donna partoriente non ha affrontato la gravidanza e il parto PER ALTRI ma per se stessa e per l’altro membro della coppia, dunque non è stata resa strumento, non ha subito alienazione. Ha voluto farlo per essere fisicamente inclusa nella relazione genitoriale, della quale si sarebbe presumibilmente sentita meno partecipe se a partorire fosse stata la compagna, ovvero la stessa donna cui apparteneva l’ovulo. Infine, la donna partoriente si prenderà cura personalmente del bimbo messo al mondo e non lo cederà a una qualche committenza. In pratica, il figlio non verrà mai amputato della naturale relazione psicofisica con la gestante, che assumerà a tutti gli effetti il ruolo di Madre;

2 – il fatto che la fecondazione eterologa sia ammessa per una coppia eterosessuale fa sì che una donna a cui sia stato impiantato un ovulo estraneo, fecondato con i gameti del compagno o marito, possa essere considerata MADRE del bimbo partorito – e fin qui la situazione corrisponde a quella di cui stiamo trattando;

3 – il fatto che la fecondazione eterologa sia ammessa per una coppia eterosessuale fa sì che un uomo la cui compagna o moglie abbia fatto ricorso alla fecondazione del proprio ovulo con gameti di un altro uomo sia considerato padre del figlio partorito dalla compagna (e automaticamente all’interno di un rapporto matrimoniale), anche se il figlio avrà ricevuto metà del suo patrimonio genetico da un altro uomo, ovvero da un membro estraneo alla coppia – e qui la situazione differisce radicalmente (con l’appoggio della legge 40/2004 non sufficientemente impugnata) da quella di cui stiamo trattando;

4 – qualsiasi cosa possa decidere un Tribunale, il fatto che quel bimbo sarà collegato per una metà del suo patrimonio genetico a quello della compagna-donatrice della coppia considerata non potrà essere negato o dimenticato;

5 – il fatto che un uomo possa riconoscere un figlio non riconosciuto alla nascita SOLO IN QUANTO responsabile di una metà del patrimonio genetico del bimbo e che questo riconoscimento può essere effettuato perfino in caso di opposizione della madre di quel figlio, giungendo anche all’attribuzione del cognome se avallata da un giudice, è un fatto noto, è un diritto garantito all’uomo che nessuno può sottrargli.

Ne conseguono alcune domande.

a - perché un uomo può riconoscere un figlio se da un esame del DNA risulterà che egli sia colui da cui il figlio ha avuto una metà del suo patrimonio genetico, mentre una donna nella sua stessa situazione (il bimbo del caso di Arezzo ha indiscutibilmente per metà un patrimonio genetico avuto dalla donatrice) non può essere considerata GENITRICE di quel figlio, pur essendo peraltro legata alla partoriente da uno stabile rapporto di coppia?

b - Forse i gameti maschili sono più importanti, pregiati o autorevoli di quelli femminili? La genetica ci dice di no.

c – Forse è necessario che la donna a cui apparteneva l’ovulo si dichiari Padre e non Madre? Ciò servirebbe a far quadrare il cerchio?

d - Dove sta la ratio, dunque la base logica e scientifica – che contrasta con quella giuridica attuale – in virtù della quale considerare eticamente accettabile quella sentenza?

Deriva da queste considerazioni un giudizio di incompetenza del Tribunale di Arezzo?
Se consideriamo la minuziosità con cui le giudici hanno esaminato le sentenze della Cassazione, della Corte costituzionale e perfino della CEDU in proposito, si dovrebbe concludere che no e tuttavia qualcosa non convince.
Alla base di quelle sentenze c’è la considerazione che la legge 40/2004 consente il ricorso all’eterologa come rimedio a un difetto funzionale della coppia eterosessuale, dovuta all’impossibilità di uno dei suoi componenti di generare un figlio, per una qualche anomalia che non sussiste invece nel caso di una coppia omosessuale, i cui membri hanno la piena possibilità di esercizio delle caratteristiche generative del proprio sesso di appartenenza.

La valutazione sembrerebbe inoppugnabile, se non fosse che quel che ne consegue viene applicato SOLO nel caso di lesbiche e non di gay. A un gay che ha generato ricorrendo alla Gpa, vietata in Italia come lo è il ricorso all’eterologa per coppie lesbiche, non viene disconosciuta la sua paternità ma solo il diritto di conferire analogo statuto al compagno che non ha dato nessun contributo biologico per la nascita del figlio, ovvero al cosiddetto genitore intenzionale. Nel caso delle due donne e del comune di Anghiari, invece, alla donna che esattamente come il gay considerato ha “erogato” i suoi gameti, lo status di genitrice viene negato contro ogni evidenza. 

In altri termini, qui non si tratta, o non si tratta solo, di discriminazione nei confronti dell’omosessualità ma in primo luogo di discriminazione radicale nei confronti della donna, i cui gameti sono valutati in modo difforme - e per lei penalizzante - dai “sacri lombi” generativi del maschio, eterosessuale o omosessuale che sia.

Ricordiamo che le conclusioni di un procedimento giudiziale sono sempre condizionate dai termini in cui è stata formulata la richiesta.
È possibile che riproporre la questione da un punto di vista più appropriato - quale ad esempio la denuncia di una discriminazione nei confronti della donna con riferimento alle situazioni sopra esaminate –, lasciando dunque in sordina al momento la 40/2004 che tanto intralcia, possa indurre un Tribunale ordinario a sollevare eccezione di costituzionalità su questo aspetto specifico, ottenendo finalmente una differente pronuncia della Consulta o, a un livello ulteriore, della CEDU.

7 Dicembre 2022

Andare a Riflessioni incrociate sul caso della procreazione “ripartita” di una coppia lesbica di Anghiari, link   

© Iole Natoli