Ma quant’è grande il piccolo mondo dei Moso
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di Iole Natoli
Foto di Francesca Rosati Freeman
Amore per la natura, sacralità della vita, osservazioni e testimonianze dirette pongono in luce l'assenza di violenza.
Quali fondamenti societari hanno consentito sino ad oggi a circa 50.000 persone di vivere gioiosamente e in armonia?
Risponderà ai numerosi interrogativi la studiosa e documentarista Francesca Rosati Freeman, autrice del libro Benvenuti nel paese delle donne.
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Nata a Trapani e laureatasi a Palermo in Lingue straniere moderne, Francesca Rosati Freeman vive da trent'anni tra la Francia e la Svizzera. Ha insegnato francese e lavorato a Ginevra per l'Antiracism Information Service contro la discriminazione razziale.
Attiva per i diritti delle donne, ha visitato spesso la comunità Moso. Ha intervistato, fotografato e filmato gli abitanti, realizzando un piccolo documentario, selezionato al Mosuo Film Festival in Cina nel 2006 e proiettato in Francia, in Svizzera e Italia.
Nel 2010 ha pubblicato "Benvenuti nel paese delle donne. Un viaggio straordinario alla scoperta dei Moso" XL Edizioni, e nel 2013 ha realizzato con il giornalista-reporter Pio D'Emilia il documentario "Nu Guo - Nel Nome della Madre", selezionato al Festival dei 5 Continenti di Ferney-Voltaire e al DOCM del festival Visions du Réel di Nyon (Svizzera), che avrà luogo dal 25 aprile al 3 maggio.
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Un testo ricco di informazioni accurate, con descrizioni di quei paesaggi fantastici che son visibili in foto sul suo sito (->∆).
Il tuo interesse per la comunità Moso e lo Yunnan non si è consumato in una banale visita sporadica, come accade a chi fa un giro turistico. Quanto spesso ti sei recata in quei luoghi?
Ho visitato il lago Lugu già sette volte, alcune volte in compagnia e altre da sola, cosa che riveste per me speciale fascino. Potrei starmene ore e ore seduta a guardare la superficie del lago, in cui galleggiano come astri argentati le bianche ottelie e si specchiano suggestivamente le nuvole, confondendo l'acqua col cielo. Ci sono poi le montagne, che nell'arco di una giornata cambiano continuamente colore a seconda della posizione del sole. Nel corso delle mie visite solitarie sono entrata in empatia con i Moso, con loro ho abitato, partecipato alle attività quotidiane, condiviso i pasti, zappato un campo di patate e mi sono unita a loro in un ritiro spirituale. Di sera ero con loro a ballare, non nel luogo riservato ai turisti, ma nel cortile di una delle dabu. Rimanevo stupita davanti a
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donne, anche di una certa età, che dopo una giornata lavorativa intensa avevano ancora l'energia di fare quattro salti insieme condividendo relax e allegria.
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Quali vantaggi comporta l’organizzazione matriarcale dei Moso?
Il loro sistema risponde a due bisogni fondamentali: la piena libertà in amore e la protezione affettiva ed economica per tutti i componenti della famiglia. La società Moso è la somma di tanti elementi riuniti. È tale perché esistono determinate condizioni: beni indivisibili, libertà sessuale, pratica del consenso, educazione non di genere, rispetto e cura dell'altro, una spiritualità molto sentita, la persona anziana come figura guida del matriclan, il non riconoscimento giuridico della paternità ma una paternità e una maternità allargata ai fratelli e alle sorelle della madre, un'economia tradizionale basata sulla solidarietà collettiva.
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In amore esistono relazioni stabili o solo temporanee?
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A tredici anni maschi e femmine ricevono il costume tradizionale adatto alle cerimonie e alle danze serali. Nel corso di quel rito, la ragazza avrà anche la chiave della sua stanza, detta camera dei fiori, dove quando sarà pronta potrà ricevere il suo innamorato. Come lei non si occuperà di ciò che succede nella camera delle sue sorelle o di sua madre, così gli altri familiari non metteranno il naso nei suoi affari privati. All'inizio la sua relazione sarà segreta; è la
la fase della conoscenza, qui le ragazze cambiano spesso compagno alla ricerca del grande amore cioè di qualcuno con cui avere una relazione più stabile. È solo quando la donna lo decide che presenta il suo compagno alla madre. I due si amano ma non si sposano né convivono e nessuno promette mai fedeltà eterna. Il concetto di possesso in amore non esiste e ciò cancella la possibilità stessa di stupri e di violenze di ogni genere.
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Che differenza c'è tra l’organizzazione sociale dei Moso e quella delle comunità confinanti?
In alcuni dei loro villaggi, i Moso coabitano pacificamente con comunità che hanno adottato modelli analoghi a quelli delle società patriarcali. La famiglia moso è un matriclan, una famiglia allargata a tutti i discendenti di stirpe materna. Solo a questi è consentito di abitare insieme e per tutto il tempo che lo desiderano, in genere per tutta la vita, ma le regole non sono mai così rigide.
I giovani possono assentarsi per gli studi o per lavorare in una grande città e se vogliono possono creare nuove famiglie, ma nessuno ha mai pensato che una coppia possa bastare a compiere tutte quelle attività che invece in una famiglia allargata vengono divise fra i suoi componenti. In una famiglia Moso si possono ritrovare fino a quattro generazioni. Tutti i membri portano il cognome materno e collaborano per la prosperità familiare sotto la vigilanza della dabu, la donna più abile e competente ma anche la più imparziale nelle decisioni e la più saggia, che amministra i beni e organizza i lavori agricoli, oltre ad assegnare a ciascun familiare i suoi compiti. Lo fa non con autorità ma con autorevolezza e gli uomini non sentono, per questo, posta a rischio la propria identità o virilità.
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Perché i cinesi hanno attaccato i costumi sociali dei Moso tentando di uniformarli ai propri?
In un paese dove le donne sono state represse per secoli da una morale di tipo confuciano, che le voleva ingabbiate in matrimoni combinati e sottomesse agli uomini, questa comunità matriarcale costituiva un’irregolarità. Fin dai tempi di Mao si è tentato di convertire i Moso al matrimonio, ma quelle stesse riforme che miglioravano la penosa situazione delle donne cinesi sconvolgevano la vita dei Moso, con l’imposizione del vincolo matrimoniale.
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La popolazione ha vissuto come un dramma lo smembramento delle famiglie e il fatto che le donne fossero costrette a lasciare la casa materna per andare ad abitare a casa del marito, ovvero presso estranei! Come mi ha riferito una donna, i Moso non riuscivano a capire il perché di un simile trattamento, giungendo perfino a supporre che fosse una punizione inflitta per eventuali colpe commesse dai loro antenati.
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Dopo la morte di Mao, quasi tutte le coppie costrette a unirsi in matrimonio si sono separate e ognuno ha fatto ritorno nella casa materna. Dal 1984 finalmente una legge permette alle minoranze etniche di seguire le proprie tradizioni, tuttavia i giovani oggi vestono all'occidentale e parlano mandarino, pur restando fedeli ai propri costumi sociali.
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Pensi che la tregua sia definitiva o che al contrario nasconda delle insidie?
Non ci si può attendere che una cultura resti intatta, se muta il tipo di economia.
Da quando la Cina aprendo i suoi confini si è proiettata all'esterno è arrivato il turismo, che si estende a macchia d’olio grazie a moderne strutture di trasporto. I Moso pensano porti loro benessere, ma non avendo competenze specifiche affidano la gestione del commercio e degli hotel a investitori Han o Taiwanesi, lasciando che l'economia assuma forma capitalista, cioè contraria alla solidarietà collettiva. I turisti, inoltre, hanno fatto sorgere problemi un tempo impensabili. Ho visto mucchi di rifiuti a ridosso di una collina e ho pensato allo scempio che le costruzioni stanno facendo di una natura considerata sacra dagli abitanti del luogo. Pian piano questa nuova economia si va insinuando e cambia modo di vivere e di pensare. Il matrimonio, finora escluso dallo stile di vita tradizionale moso, sta facendo la sua apparizione. Alcuni matrimoni fra Moso e Han sono stati già celebrati, ma a detta dei locali non funzionano e ben presto le coppie si separano.
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Gli uomini Moso hanno creduto per molto tempo che il loro ruolo generativo consistesse nell’innaffiare il seme contenuto fin dall’inizio nel ventre femminile. Come mai le conoscenze attuali non inducono gli uomini a occuparsi della loro discendenza invece che dei propri nipoti?
E perché dovrebbero? Tra i Moso non c’è spazio per il concetto di proprietà privata, né per i beni che sono indivisibili né per i figli che appartengono al matriclan. Tutti i bambini hanno bisogno di affetto, tutti devono essere educati all'amore e al rispetto e compito degli adulti è trasmettere i valori della loro cultura. Nessuno impedisce ai padri biologici di avere un rapporto affettivo con i figli; li incontrano, ci giocano, fanno loro dei regali ma non se ne occupano materialmente. Che abbiano o no figli propri, gli uomini Moso sono responsabili economicamente dei figli delle sorelle, verso i quali si comportano da padri. Di fatto non sentono alcun bisogno di distinguersi in una cultura che è paritaria, in cui non esiste il mio o il tuo ma solo il nostro; stanno bene in questa organizzazione sociale dove si sentono liberi, protetti e rispettati.
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I paesi in cui domina la famiglia nucleare manifestano una forte resistenza culturale a riconoscere il valore delle comunità matriarcali. Si preferisce iscriverle nel mito, giungendo ad occultarne l’esistenza.
Nonostante il patriarcato imperi ovunque, ci sono molte società patriarcali che mostrano residui matriarcali e altre in cui il matriarcato vige ancora con tutte le sue tradizioni. Si tratta di società documentate: i Minangkabau di Sumatra, I Khasi in Indocina, i Khoesan in Africa del Sud, i Tuareg nell'Africa del Nord, gli Aruachi nell'America del Sud, i Cuna nell'America Centrale, gli Zapotechi in Messico, gli Hopi e gli Irochesi nel Nord America.
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Poiché riconoscere le comunità matriarcali porrebbe automaticamente in discussione l’universalità dei sistemi di matrice patriarcale, si preferisce ignorarle piuttosto che accettare la realtà di una struttura socio-familiare millenaria e tuttavia contemporanea, che resiste e funziona egregiamente. Peraltro “matriarcato” è una parola a cui il patriarcato ha affidato una connotazione negativa facendola passare per il proprio analogo ribaltato, ovvero per dominio delle donne, ma la parola arkeo significa anche “origine” che associata a mater assume il significato di “all'origine erano le madri”. Queste infatti sono state le prime a costruire sulla base del principio materno della cura un modello
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culturale, sociale e spirituale, che viceversa il patriarcato sconosce. Una cultura con i suoi valori e le sue tradizioni non è certo un bagaglio trasferibile da un luogo all'altro e non è realistico pensare che questo sistema possa riprodursi altrove in un futuro prossimo. E tuttavia da queste società avremmo molto da apprendere, in quanto ci prospettano un altro modo di vivere, armonioso e senza violenza, dove maschile e femminile non si oppongono ma si rafforzano a vicenda.
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Hai presentato “Benvenuti nel paese delle donne” in varie città italiane ed estere e proiettato in anteprima a Palermo “Nu Guo - Nel Nome della Madre”, girato insieme a Pio D’Emilia. Come reagisce il pubblico usualmente?
Sono soprattutto le donne a mostrare interesse per il tema. Alcune dicono che le faccio sognare, altre che tutto sembra troppo bello per essere vero. Molte mi fanno domande sull'esistenza o meno dell'omosessualità, alcune dichiarano che tutta la vita con la madre o con i fratelli non ci vorrebbero stare, altre mi scrivono dopo avermi conosciuta per dirmi che hanno vissuto inconsapevolmente come le Moso e che sapere della loro esistenza le fa sentire più normali.
Alcuni degli uomini presenti si sentono detronizzati, altri invece sostengono che è una società fantastica perché è possibile avere tutte le relazioni amorose desiderate, perché le fatture vengono pagate dalla madre e se poi c’è da spupazzarsi i figli delle sorelle la cosa può anche essere piacevole. Non sono mancate le domande sulle origini e sul come questa minoranza etnica si pone nei confronti del resto del paese a livello politico ed economico.
Quando mi trovo attorniata da studenti, riscontro in loro notevole interesse e sento pormi domande pertinenti sulla violenza e sulla gelosia. Curiosamente, quando ho presentato i Moso davanti a un gruppo di psicologi, psichiatri e psicoterapeuti, la loro reazione immediata è stata la constatazione che in una società simile sarebbero tutti disoccupati… | ||||||
11 Aprile 2014
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© Iole Natoli
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venerdì 11 aprile 2014
SOCIETÀ / Viaggio in una comunità matriarcale Intervista con Francesca Rosati Freeman
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Nu Guo. Nel Nome della Madre.
RispondiEliminaA Milano, documentario di Francesca Rosati Freeman e Pio D’Emilia su una comunità matriarcale della Cina.
Al cinema Palestrina (Via Palestrina 7), mercoledì 28 Maggio e mercoledì 4 giugno, alle ore 17:00, 18:30, 19:45 e 21:00.
http://kultbazaar.blogspot.it/2014/05/documentario-sui-moso-dove-il.html