A chiunque non abbia il cervello ottenebrato da asti razziali espressi o
repressi, appare chiaro come occorra ampliare la platea delle forze attive
che, nel produrre un reddito attraverso il proprio lavoro, forniscano
attraverso il pagamento dei contributi un mezzo per pagare ADESSO le pensioni
italiane, in vista di godere dello stesso beneficio in futuro mediante la
ripetizione della dinamica.
Se, a causa della contrazione delle nascite, forze attive nostrane ce ne
saranno a breve pochissime rispetto alle necessità che si profilano
drammaticamente all’orizzonte, non sembra ci siano alternative al ricorso
alla capacità contributiva degli immigrati che occorrerebbe dunque non
respingere (o tentare di farlo) ma, al contrario, regolarizzare il più
possibile, affinché possano svolgere quel ruolo di salvagente che l’alta
marea in arrivo non rende più possibile procrastinare.
È quello che chiede la sinistra e che fa storcere il naso e l’intero
viso alla destra. Se ne potrebbe dedurre che la destra sia venata – e anche
molto - di razzismo e che la sinistra invece ne sia esente. Le differenze non
sono però così nette e vedremo più avanti il perché.
La destra ha lanciato a gran voce un programma per incrementare la
natalità. Le misure però sono esigue soprattutto in rapporto alla durata. Si
è calcolato che, per riparare nel tempo e non nell’immediato al deficit di
nascite registrato, ogni donna dovrebbe partorire un po’ più di due figli,
non nel senso di orientarsi verso un assemblaggio post partum di “pezzi” per
ottenere in cooperativa un bambino intero (a
questo ancora non siamo arrivate, in futuro chissà, certe premesse non
lasciano presagire nulla di buono), ma secondo una banalissima media
statistica.
Le giovani coppie che vorrebbero avere dei figli ma che lo evitano per
mancanza di sicurezza economica non cambieranno opinione solo perché, per
iniziativa di questo o quel governo, arriva un assegno temporaneo atto ad
alleviare le prime spese che ogni nascita comporta. Quella figlia o quel
figlio arrivato dovrà anche crescere e per lui/lei occorrerebbe avere dunque
maggiori entrate di lunga durata affinché generare dei figli non sia di fatto
un salto nel buio da, in totale ragionevolezza, evitare. Non solo, ma come si
è giustamente fatto notare, prima che le nuove nate e i nuovi nati possano
lavorare contribuendo dunque al salvataggio delle pensioni degli anziani
passeranno un bel po’ di anni; qualcuno forse non se ne è reso conto, ma non
si può mandare a lavorare un soggetto in età da biberon.
Tutto questo la sinistra lo sa e lo proclama anche con chiarezza. Peccato che
altrettanta chiarezza le sinistre non abbiano mostrato di averla anche prima
e cioè quando, sia pure variamente combinate, sono state al potere in molti
degli anni passati.
Puntare sui contributi degli immigrati e dunque ricorrere a loro in
chiave puramente utilitaristica sarebbe una misura da adottare con urgenza
per un tamponamento immediato. Pensare però che con questo si possano
risolvere anche i problemi futuri è infondato, perché quel che avverrebbe in
tempi brevi non sarebbe una sostituzione etnica a detrimento dei bianchi
italiani ma una sostituzione culturale a detrimento dell’automatismo
generativo che si attribuisce, a torto o a ragione, alle popolazioni
immigrate.
E qui non casca solo l’asino ma cascano tutte le forze politiche, che
siano di destra, di centro o di sinistra.
Le cause della scarsa natalità sono, sì, in massima parte economiche - e la precarietà lavorativa del mondo giovanile gioca un ruolo primario - ma
non soltanto. Esistono anche ragioni culturali, quelle che hanno indotto già da
anni molte donne a NON VOLER generare, consapevoli del fatto che la loro
realizzazione personale sarebbe stata compromessa dalla presenza, richiedente
impegno, di figli e convinte che la loro realizzazione non coincidesse con la
funzione della maternità.
Ciò non è dipeso e tuttora non dipende solo dalle difficoltà economiche e
strutturali (la risibile quantità degli asili e il mancato coinvolgimento
pratico del maschio, molto frequente, nella cura della prole); discende
anche da una maggiore consapevolezza di ciò che alla maternità consegue in
termini di responsabilità verso i figli generati, la cura dei quali è tanto
assorbente da poter solo venire alleviata ma non certo azzerata da un’equa
distribuzione dei ruoli o dalla presenza di strutture sociali idonee sul
territorio.
Alla luce di queste considerazioni, appare stolta e destinata a
infrangersi la convinzione che questo aspetto non finirà col “contagiare” a
non lunga distanza temporale anche le donne che oggi arrivano per effetto
dell’immigrazione, clandestina o regolare che sia, o quanto meno le figlie
che da loro nasceranno.
Integrarsi nella società italiana non comporta solo l’opporsi a indossare il
velo o il rifiutare i matrimoni combinati, per quelle donne la cui cultura
d’origine tutto ciò lo prevede. Integrarsi in una cultura significa fare
propri molti valori di quella cultura. Se la sinistra ritiene che le donne
immigrate continueranno indiscriminatamente a far figli in luogo delle donne
italiane, allora anche la sinistra di fatto è venata di razzismo, oltre che
soggetta alle illusioni.
In sostanza le misure per la natalità sono necessarie. Misure complete e
a tutto tondo e non solo briciole. Misure che vadano, oltre a un assegno
iniziale, al poter contare su un alloggio adeguato e sufficiente anche per
ampiezza, al poter fare affidamento su un’assistenza sanitaria efficiente ed
estesa, alla promozione della condivisione di cura dei figli tramite congedi
familiari equamente distribuiti tra i genitori, sino ai contributi per
l’istruzione della prole. Solo così quelle coppie o quelle donne single che
vorrebbero avere dei figli – che come
già rilevato non coincidono con tutte le donne in età fertile presenti sul
suolo italiano - potranno soddisfare il loro desiderio a beneficio anche
della comunità.
Queste ampie misure sono da attivare al più presto, sia per convincere le
donne italiane sia per convincere le donne immigrate, che potrebbero – e a ragione - molto prima di quanto si pensi non volersi addossare il pesante
RuoloSalvaStato immaginato per loro.
C’è ancora una considerazione da fare. Da sempre ho potuto constatare
come molte delle donne che non hanno voluto o, per cause varie, potuto avere
dei figli si lamentino per talune agevolazioni di cui “godono” le donne che
invece i figli li hanno messi al mondo. Ho sentito ripetutamente, ad esempio,
insegnanti parlare di discriminazione per i punteggi aggiuntivi che producono
precedenze in talune graduatorie pubbliche relative all’insegnamento, come se a quei figli, dalle altre donne messi faticosamente
al mondo e altrettanto faticosamente allevati, non corrispondesse un lungo “lavoro”
psicofisico usurante per le madri e come se quei figli non servissero anche alle non madri, per
mantenere una popolazione scolastica tanto nutrita da consentire di non dover
contrarre i posti di lavoro disponibili nel tempo. Questo atteggiamento non
lo si rileva solo tra le insegnanti ma, più ampiamente, nel pubblico impiego.
È una pecca, tutta al femminile, da cui occorrerebbe mondarsi. Essere libere
di non volere figli è un diritto; pretendere di avvantaggiarsi della
generatività altrui, senza assumerne il benché minimo peso, è un atto
egoistico e miope.
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