Segnalo in primo luogo due articoli interessanti apparsi in questi ultimi giorni sul tema. L’uno è “Il corpo della madre surrogata” [1], pubblicato da il ricciocorno schiattoso, l’altro “In tre a fare un bambino, una serie tv racconta la maternità surrogata” [2] di
Monica Lanfranco. Due letture relative ad alcuni aspetti trattati, che
val la pena di regalarsi malgrado la calura dell’estate. C’è però altro che abitualmente sfugge e di cui ho già scritto in precedenza [3]. Preferisco iniziare tuttavia dai luoghi comuni per liberare il campo dagli equivoci. • L’autodeterminazione della donna. È
un argomento pretestuoso e falso. L’autodeterminazione, che sia della
donna o dell’uomo, può riguardare SOLAMENTE sé e il proprio destino.
Applicarla alla Gravidanza Per Altri è un evidente cortocircuito logico.
La determinazione di sé o autodeterminazione della donna non può
estendersi a determinare il destino di altri soggetti, con cui già in
partenza non si ha nessun legame biologico e verso cui si pretende di
non doversi assumere nessuna responsabilità giuridica dopo averne
determinato l’esistenza. Di determinazione della vita di altri, infatti, si tratta. Senza la gravidanza e il parto nessun essere umano esisterebbe. • Parto in anonimato, ovvero Il diritto attribuito alle madri di non riconoscere il figlio dopo il parto. Un'altra
argomentazione inconsistente è quella secondo la quale il diritto al
parto in anonimato giustificherebbe la cessione da parte della gestante di una bimba o di un bimbo nato da GPA. Nulla di più falso. La situazione che ha generato l’attribuzione di un tale diritto, col DPR 396/2000, art. 30, comma 2 [4], è del tutto differente da quella a cui la si vuole apparentare e risponde a due ordini di ragioni. La madre.
Queste madri NON volevano la gravidanza, in cui si sono trovate
imbrigliate per le più svariate ragioni, e che avrebbe condizionato la
loro vita. Se questa è stata condotta a termine è perché quelle donne
non hanno voluto – il più delle volte potuto – abortire. Il figlio. Può accadere – ed è già accaduto – che una donna che ha partorito un figlio non voluto sia
assalita, nella delicatissima fase del post partum, dall’insano
desiderio di liberarsi del problema sopprimendo il neonato. Che poi la
si condanni giustamente a norma di legge non restituisce la vita al
figlio soppresso. Dare a queste madri la possibilità di affidarlo a una
struttura, affinché sia adottato, costituisce in primo luogo una misura di tutela nei confronti del figlio che,
una volta messo al mondo, ha tutto il diritto di vivere, di essere
accudito e di godere di ogni garanzia giuridica spettantegli. • La cessione del figlio nella GPA. Per
prima cosa rilevo una contraddizione tra la definizione di “maternità
surrogata” e il lavaggio del cervello fatto alle donne durante questo
tipo di gravidanza, affinché non sentano mai il bambino che cresce
dentro di loro come proprio. Bisognerebbe decidersi. Se si parla di
“maternità” allora quella donna è madre e il bambino è suo figlio; se
invece il bambino non è figlio, allora non si può parlare di maternità,
ma bisognerà trovare un altro termine per descrivere la gravidanza per
altri. Ciò che comunque distingue radicalmente la cessione del figlio nella GPA dal
non riconoscimento di un figlio proprio alla nascita è però un’altra
cosa. Diversamente da quest’ultimo caso, infatti, nella Gpa NON siamo
dinanzi a un evento inaspettato o comunque non desiderato; al contrario, la gravidanza è indotta v o l o n t a r i a m e n t e,
con un abuso di potere sul bambino/a che non può avere legittimazione
alcuna. Che ci sia compenso economico o no è un aspetto secondario. • La responsabilità personale nella nascita di un essere umano, livello primario della questione. Il punto iniziale dell’analisi da compiere è quello della responsabilità nella nascita di un essere umano.
Un ovocito da solo non dà un essere umano. Un gamete maschile non
genera da solo un essere umano. Qualcuno può anche avere riserve sul
ricorso alle cosiddette “donazioni” di gameti, ma questo non è
l'elemento centrale del problema. Da soli, separatamente considerati, i
gameti femminili e maschili finiscono entrambi nel nulla. Ciò che invece
consente la vita è la coniugazione genetica (come preferisco chiamare l'altrimenti detta “fecondazione“) unita alla gravidanza e al parto. La
stessa coniugazione genetica da sola è insufficiente, non a caso si
cerca un utero di persona ospitante. Alti lai si levano se si parla di
utero in affitto, o in comodato e forse anche a contratto. Brutti e
cattivi quelli che pretendono di ridurre una persona a un utero! Ma chi compie in realtà questa riduzione? Proprio
coloro che eliminano per contratto la responsabilità verso il nato da
parte della gestante e partoriente. La responsabilità verso il nato o la
nata non è alienabile.
Per legge, in una generazione naturale non basta che il bambino sia
riconosciuto dalla madre per sollevare il padre biologico dalle
responsabilità verso di lui. In altri termini, la responsabilità
personale è assoluta e NON trasferibile. Nel caso della “madre
surrogata”, invece, la responsabilità viene considerata tanto
trasferibile da essere addirittura annientata prima
ancora che la creatura nasca. Tanti saluti affettuosi di tanto in tanto
nel migliore dei casi, ma nessun peso di responsabilità nel suo
futuro. È questa l'anomalia di base che non viene affrontata. E invece è la premessa da cui partire, prima di esaminare tutto il resto.
Quanto al testo della legge sul “reato
universale” di recente approvato in Commissione Giustizia del Senato, un
lettore interviene sulle Lettere
di Specchio dei tempi di giovedì 11 luglio 2024 scrivendo:
«Mi sto interrogando sull'utilizzo ormai generalizzato della locuzione
"reato universale" per definire le intenzioni parlamentari relative
alla maternità surrogata (che brutto termine anche questo, d'altronde). Credo
che "reato universale" sia un reato che tutti i sistemi giuridici
della terra puniscono e non, come in questo caso, un reato punibile in Italia
ovunque sia commesso. C'è una bella differenza e forse andrebbe sottolineata da
tutti».
Infatti. Probabilmente indica un'aspirazione, ma sicuramente non è una formula
adatta al potere limitato di uno Stato, in questo caso dell'Italia, che prova a
normare la materia.
Rimane peraltro da chiedersi se il contenuto della legge sia applicabile,
visto che l'art. 9 del codice penale individua in una pena superiore
a tre anni la possibilità che il reato diventi perseguibile in Italia
anche se commesso dal cittadino in territorio estero e nei confronti di una
o di uno straniero. Può essere sufficiente il disposto dell’art. 7 punto 5
per sottrarre a questa limitazione normativa il contenuto del DdL Varchi?
__________________________________________________________________ Link nel testo: [1] - https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2015/03/28/il-corpo-della-madre-surrogata/ [2] - https://www.micromega.net/in-tre-a-fare-un-bambino-una-serie-tv-racconta-la-maternita-surrogata/ [3] - https://area-femminista.blogspot.com/2023/03/gpa-adozioni-rese-caparbiamente.html [4] - https://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?lingua=italiano&id=1011&area=Salute%20donna&menu=nascita Attribuzione immagine: <a href="https://it.freepik.com/foto-gratuito/gestante_4291515.htm#page=2&">Immagine di jcomp su Freepik</a> |