giovedì 7 marzo 2013

8 MARZO 2013

QUALE FUTURO PER LA LOTTA DELLE DONNE?
Di Iole Natoli su IMG PRESS
Mai come oggi, in questi ultimi anni, è risuonato come fortemente equivoco l’abbinamento della parola Festa all’8 Marzo, Giornata Internazionale della Donna.
  


Se guardiamo agli eventi recenti, alle ondate di stupri esplose in India, al proseguire indisturbato di vessazioni inique nei Paesi in cui il fondamentalismo religioso è al comando, al diffondersi da noi di ideologie al momento ancora non chiare, se non nel fatto che le necessità e i diritti delle donne sono visti con un binocolo posto al contrario, al punto da sorvolare interamente sul problema dei femminicidi in Italia, non esiste una ragione obiettiva per indicare col termine FESTA la Giornata Internazionale della Donna.                                                                      (prosegui)


Se guardiamo agli eventi recenti, alle ondate di stupri esplose in India, al proseguire indisturbato di vessazioni inique nei Paesi in cui il fondamentalismo religioso è al comando, al diffondersi da noi di ideologie al momento ancora non chiare, se non nel fatto che le necessità e i diritti delle donne sono visti con un binocolo posto al contrario, al punto da sorvolare interamente sul problema dei femminicidi in Italia, non esiste una ragione obiettiva per indicare col termine FESTA la Giornata Internazionale della Donna.
Si è fatto un gran parlare della firma da parte dell’Italia della Convenzione del Consiglio d’Europa (Istanbul 2011), sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. È parso perfino agli organi di stampa più noti che la firma di una rappresentante del Governo equivalesse a una ratifica della Convenzione, cosa peraltro tecnicamente impossibile. La ratifica richiede l’approvazione di un Ddl apposito, che pur essendo stato presentato non risulta assegnato a una qualche commissione che lo esamini. Si è trattato di un primo passo avanti? Certamente. E tuttavia, se non si fosse aspettato tanto tempo per la firma della Convenzione e per il successivo Ddl, la ratifica ci sarebbe già stata mentre adesso il Ddl decadrà per fine legislatura, come   tanti altri disegni di legge presentati e mai o insufficientemente discussi in tema di diritti delle donne.
Diritti che sono ancor oggi considerati tra quelli che meno contano in Italia. Si dice sempre che “ci sono cose più urgenti”. Quali cose più urgenti? Cosa c’è di più urgente dell’intervenire affinché gli stermini abbiano fine, affinché le violenze non siano in mille maniere incoraggiate, affinché i diritti siano rispettati o addirittura istituiti nei casi in cui non sono ipotizzati? Già, perché se si parla solamente in astratto quasi sempre l’universo maschile è d’accordo, ma non appena si pone l’accento su chi dell’insufficienza - quando non dell’assenza - dei diritti fa le spese maggiori, cioè le donne, allora sorgono mille impedimenti.
Se in Italia non abbiamo di che sentirci allegre, ancor meno possono farlo altre donne, in tante altre parti del mondo. Siamo in Europa ma stiamo al centro del Mediterraneo. Se da un lato non possiamo né dobbiamo distrarci da quel che molti Paesi europei hanno già realizzato sul fronte dei diritti delle donne - cosa che ci deve fare riflettere su certe vie di distacco dall’Europa -, dall’altro non possiamo né dobbiamo ignorare quel che le donne dei Paesi che si affacciano al Mediterraneo (ma anche donne di Paesi più lontani) stanno facendo per conquistare, secondo strade proprie, i diritti, evitando di arroccarsi in chiusure, pur senza perdere una connotazione specifica.
Segnalo a tal proposito il lavoro di Vanessa Rivera de la Fuente (pseudonimo Nasreen Amina), giornalista e pioniera di “Feminismo Islámico” in America Latina. Il suo impegno per ribaltare il fondamentalismo religioso nell’interpretazione del Corano può apparire forse poco comprensibile a coloro che hanno accantonato la questione religiosa da tempo e che sono molto più attratte dai contenuti comunitari delle società matriarcali di quanto possano sentirsi coinvolte da religioni d’un qualsiasi tipo. Sarebbe però una forma di miopia non comprendere che ogni popolazione deve partire dalle proprie radici culturali, che spesso sono anche religiose, se vuole giungere a una liberazione reale da pregiudizi di varia natura.
Interessante il sorgere in Spagna, a Granada, di iniziative di formazione in tal senso, corsi estivi di Educación Islámica il cui limite è dato dal costo economico, di cui non sarebbe però responsabile l’Organizzazione (Critical Muslim Studies) ma l’Università presso la quale hanno luogo.
Ed è dunque con un saluto a tutte le donne impegnate in varie parti del mondo per i diritti, tra cui primario è ancora quello alla vita, che mi appresto a osservare domani i tanti e tanti mazzetti di mimose, venduti a ogni angolo di strada da chi forse non sa perché ci siano. Non so avrò una gran voglia di spiegarglielo… ma se per caso ne acquisterò qualcuno allora sicuramente lo farò.

Milano, 7 Marzo 2013
© Iole Natoli
da IMG PRESS -  IL FOGLIO ELETTRONICO

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