Aborto e
condizionamento religioso
IL CORAGGIO DI UNA COERENZA CHE MANCA |
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di
Iole Natoli
Occorreva che Matteo Renzi ci mettesse
del suo nella polemica, per riproporre la contraddizione di sempre. Donne
illustri che s’impegnano a scagliarsi contro i cimiteri dei feti e che,
malgrado il sacro fuoco libertario, si fanno portatrici di un equivoco.
Potrei attingere a uno qualsiasi degli
scritti apparsi di questi giorni. Privilegio però quello di Lidia Ravera (-->),
scrittrice e donna che peraltro stimo moltissimo, perché data la forza delle
argomentazioni addotte il suo intervento meglio si presta a evidenziare la
contraddizione di cui scrivo.
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«Si abortisce con dolore, sempre, in ogni caso, quando l'aborto è volontario e quando è spontaneo». Ma quali ricerche scientifiche, condotte al di fuori di pregiudizi del ricercatore o del campione esaminato, hanno mai dimostrato che sia così? Con buona probabilità esistono donne che non hanno sofferto all’idea di dover abortire, benché di certo non abbiano fatto salti di gioia. Ma è in quel che segue il contenuto più ambiguo. «Si rassicuri chi teme che per le donne tutto sia diventato troppo facile. Non lo è, non lo è mai stato e non lo sarà mai». Ritengo di poter definire questo brano, attestante la sofferenza certa, come il perfetto paradigma del PREZZO sociale che le donne sarebbero tenute a pagare per un aborto. Ma a chi e perché?
Vogliamo
definire un attimo che cos’è un aborto?
È l’espianto da
un utero di un ammasso di cellule, in corso di sviluppo geneticamente
programmato, che a seconda del momento in cui si interviene può essere
definito espianto di un embrione o di un feto. In realtà un espianto volontario avviene il più delle volte solo in presenza di un embrione, perché la dizione di feto scatta intorno alla 10 settimana di gravidanza e l'interruzione legale di essa può avvenire solo entro i 90 giorni dall'inizio, salvo in caso di rischio per la madre (in tal caso entro i 180).
Vogliamo
chiederci cosa ci porta a ritenere che espiantare un embrione nelle
prime settimane di gravidanza o un feto al suo stadio iniziale sia un atto in sé più grave dell’uccidere un
vitello o un bue o una gallina o un coniglio, che abbiano già raggiunto lo
stadio di sviluppo che li rende autonomi e ne fa ESSERI VIVENTI a pieno
titolo, consentendo loro di SENTIRE dolore, AVERE emozioni, provare
AFFETTIVITÀ (pensate a una topina che allatta i suoi piccoli), detto in poche
parole ASSOMIGLIARCI in talune delle nostre caratteristiche umane?
Ah, ma se non
intervenisse l’aborto quell’embrione diventerebbe un bambino! Certo. Se non
intervenisse, per cause naturali o provocate. Il fatto che per cause naturali
POSSA avvenire dimostra come DI PER SÉ l’embrione (ma anche il feto nelle sue prime fasi) non è dotato di
quelle caratteristiche di autonomia atte a consentirgli una vita extrauterina.
Basta un distacco della placenta per provocare un aborto spontaneo.
E allora il
punto di distinzione non è quello. Non è il fatto che l’embrione ci sia ma
che la sua presenza nell’utero ospitante sia favorevolmente accettata e
vissuta dalla possibile FUTURA madre, ovvero dalla donna che in quel
particolare stadio lo ha in grembo. Se esiste accettazione, allora la donna
si sentirà MADRE IN FIERI sin dal primo generarsi della blastula (stadio che
precede l’embrione), a dispetto del fatto che quell’ammasso di cellule non
abbia nemmeno un accenno di occhi o di bocca o di altra morfologia
riconoscibile; ma se l’accettazione e il vissuto favorevole non ci sarà,
quella donna NON SI SENTIRÀ una madre e desidererà liberarsi di qualcosa che
la vincola a un ruolo che non vuole. Quel qualcosa non è un bambino: è un
embrione o al massimo un feto e sarebbe anche bene che si introducesse un
vocabolo nuovo, per distinguere un feto iniziale da uno già maturo e dunque
vicino allo stadio di bambino.
Questo
desiderio della donna di non essere madre PRESCINDE dai suoi "perché", che
possono essere di ordine economico (non ce la fa a mantenere decentemente un
bambino), o sociale (non dispone di appoggi familiari e magari ha un pessimo
rapporto col marito/compagno), o lavorativo (ha in corso un progetto che
prevede la sua perfetta efficienza e la sua partecipazione, senza soste
dovute a una gravidanza).
QUALE CHE SIA
la motivazione che la induce ad abortire, quella donna non sta uccidendo
nessuno perché non c’è una vita autonoma o che sia sufficientemente prossima
all’autonomia e alla totale sensibilità dentro di lei: c’è un abbozzo di
creatura umana, che in quel momento è molto al di sotto della soglia di
completezza e sensibilità che detiene un qualsiasi animale vivente. STOP.
Che
preferirebbe non doverlo fare è addirittura scontato, non foss’altro perché
si appresta a subire un intervento, ma non degno di particolare rilievo. Ma
soprattutto il suo eventuale disagio o dispiacere, spontaneo o indotto dal
condizionamento sociale, non è un obolo da offrire a un qualche dio per un
perdono. Non c’è colpa maggiore di quella che consumiamo impunemente ogni
giorno uccidendo, per mangiare o vestirci, animali. Più insistiamo a voler
raccontare quanto dolore provino le donne ogni volta che abortiscono, più
offriamo armi a quelle marionette che celebrano le loro assurde cerimonie nei
famosi cimiteri per i "feti" (video -->).
Se si ritiene
che un embrione o un feto nel loro primissimo stadio siano qualcosa di più di
quanto ho appena detto, ALLORA non si dovrebbe MAI abortire, quali che siano
le difficoltà cui le donne ospitanti possano andare incontro (salvo che in
caso di pericolo di vita). Ma questo attiene a un credo religioso, non alla
biologia.
Impariamo a
essere realmente laiche se vogliamo condurre una giusta campagna a sostegno
della 194. Accettiamo invece che PER LEGGE i prodotti abortivi vengano
eliminati tramite inceneritore, A MENO CHE la donna non ne faccia esplicita richiesta conseguente a un'informazione NEUTRA correttamente ricevuta prima dell'intervento (intendendo per neutra l'assoluta assenza di trasformazione ideologica di un embrione in ciò che non è, ovvero in bambino-persona), per destinare quei resti a una sepoltura, cosa che
può legittimamente rientrare nel desiderio di una non-madre che abbia
abortito non per sua scelta e che pertanto abbia già IMMAGINATO un figlio,
investendo in quell'embrione, o in quel feto, la propria affettività incondizionata.
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Milano, 5 novembre 2013
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© Iole Natoli
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Vai
anche a:
IL DIRITTO LEGALE DELLA BLASTULA --> LEGGE 194 e INTERRUZIONE DELL’OSPITALITÀ GRAVIDICA, parte 1ª --> LEGGE 194 e INTERRUZIONE DELL'OSPITALITÀ GRAVIDICA, parte 2ª --> |
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lunedì 4 novembre 2013
SOCIETÀ / STABILIAMO CHE COS’È UN ABORTO
Etichette:
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non esiste una sensazione giusta da provare se si decide di abortire, se una donna manifesta dipiacere non è giusto dirle che il suo dispiacere non è autentico, se non lo manifesta va rispettata.
RispondiEliminaA prescindere che una donna decida di abortire o no, di essere madre o no, va rispettata per quello che decide del suo corpo. Sono d'accordo sul seppellimento a richiesta dei genitori
Grazie per l'intervento, Paolo1984, che mi consente un approfondimento. Al di là dei PESANTI condizionamenti esistenti, il dispiacere può esserci ed essere autentico per una serie di ragioni che richiederebbero un articolo a parte, ma non può diventare un mezzo per giustificare l'aborto socialmente, come di fatto avviene. Semmai può essere una solida ragione per capovolgere la prassi, per invertire i termini del discorso e affermare IO HO IL DIRITTO DI NON DOVER RICORRERE ALL'ABORTO E QUINDI ESIGO CHE LO STATO MI GARANTISCA I PROVVEDIMENTI NECESSARI: asili nido, sostegno economico della filiazione, contraccezione e qualsiasi altra cosa che mi permetta di non fare ciò che preferirei non dover fare, fosse pure soltanto avere il problema di dover decidere se abortire o no. Bisogna passare dalla giustificazione all'accusa, senza cadere nel girone viziato della "colpa", che viene tuttora connessa all'abortire.
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