lunedì 4 novembre 2013

SOCIETÀ / STABILIAMO CHE COS’È UN ABORTO


Aborto e condizionamento religioso
IL CORAGGIO DI UNA COERENZA CHE MANCA
di
Iole Natoli


Occorreva che Matteo Renzi ci mettesse del suo nella polemica, per riproporre la contraddizione di sempre. Donne illustri che s’impegnano a scagliarsi contro i cimiteri dei feti e che, malgrado il sacro fuoco libertario, si fanno portatrici di un equivoco.
Potrei attingere a uno qualsiasi degli scritti apparsi di questi giorni. Privilegio però quello di Lidia Ravera (-->), scrittrice e donna che peraltro stimo moltissimo, perché data la forza delle argomentazioni addotte il suo intervento meglio si presta a evidenziare la contraddizione di cui scrivo.


Costellazione semantica - Iole Natoli - 1983


«Si abortisce con dolore, sempre, in ogni caso, quando l'aborto è volontario e quando è spontaneo». Ma quali ricerche scientifiche, condotte al di fuori di pregiudizi del ricercatore o del campione esaminato, hanno mai dimostrato che sia così? Con buona probabilità esistono donne che non hanno sofferto all’idea di dover abortire, benché di certo non abbiano fatto salti di gioia. Ma è in quel che segue il contenuto più ambiguo. «Si rassicuri chi teme che per le donne tutto sia diventato troppo facile. Non lo è, non lo è mai stato e non lo sarà mai». Ritengo di poter definire questo brano, attestante la sofferenza certa, come il perfetto paradigma del PREZZO sociale che le donne sarebbero tenute a pagare per un aborto. Ma a chi e perché?
Vogliamo definire un attimo che cos’è un aborto?
È l’espianto da un utero di un ammasso di cellule, in corso di sviluppo geneticamente programmato, che a seconda del momento in cui si interviene può essere definito espianto di un embrione o di un feto. In realtà un espianto volontario avviene il più delle volte solo in presenza di un embrione, perché la dizione di feto scatta intorno alla 10 settimana di gravidanza e l'interruzione legale di essa può avvenire solo entro i 90 giorni dall'inizio, salvo in caso di rischio per la madre (in tal caso entro i 180).
Vogliamo chiederci cosa ci porta a ritenere che espiantare un embrione nelle prime settimane di gravidanza o un feto al suo stadio iniziale sia un atto in sé più grave dell’uccidere un vitello o un bue o una gallina o un coniglio, che abbiano già raggiunto lo stadio di sviluppo che li rende autonomi e ne fa ESSERI VIVENTI a pieno titolo, consentendo loro di SENTIRE dolore, AVERE emozioni, provare AFFETTIVITÀ (pensate a una topina che allatta i suoi piccoli), detto in poche parole ASSOMIGLIARCI in talune delle nostre caratteristiche umane?
Ah, ma se non intervenisse l’aborto quell’embrione diventerebbe un bambino! Certo. Se non intervenisse, per cause naturali o provocate. Il fatto che per cause naturali POSSA avvenire dimostra come DI PER SÉ l’embrione (ma anche il feto nelle sue prime fasi) non è dotato di quelle caratteristiche di autonomia atte a consentirgli una vita extrauterina. Basta un distacco della placenta per provocare un aborto spontaneo.
E allora il punto di distinzione non è quello. Non è il fatto che l’embrione ci sia ma che la sua presenza nell’utero ospitante sia favorevolmente accettata e vissuta dalla possibile FUTURA madre, ovvero dalla donna che in quel particolare stadio lo ha in grembo. Se esiste accettazione, allora la donna si sentirà MADRE IN FIERI sin dal primo generarsi della blastula (stadio che precede l’embrione), a dispetto del fatto che quell’ammasso di cellule non abbia nemmeno un accenno di occhi o di bocca o di altra morfologia riconoscibile; ma se l’accettazione e il vissuto favorevole non ci sarà, quella donna NON SI SENTIRÀ una madre e desidererà liberarsi di qualcosa che la vincola a un ruolo che non vuole. Quel qualcosa non è un bambino: è un embrione o al massimo un feto e sarebbe anche bene che si introducesse un vocabolo nuovo, per distinguere un feto iniziale da uno già maturo e dunque vicino allo stadio di bambino.
Questo desiderio della donna di non essere madre PRESCINDE dai suoi "perché", che possono essere di ordine economico (non ce la fa a mantenere decentemente un bambino), o sociale (non dispone di appoggi familiari e magari ha un pessimo rapporto col marito/compagno), o lavorativo (ha in corso un progetto che prevede la sua perfetta efficienza e la sua partecipazione, senza soste dovute a una gravidanza).
QUALE CHE SIA la motivazione che la induce ad abortire, quella donna non sta uccidendo nessuno perché non c’è una vita autonoma o che sia sufficientemente prossima all’autonomia e alla totale sensibilità dentro di lei: c’è un abbozzo di creatura umana, che in quel momento è molto al di sotto della soglia di completezza e sensibilità che detiene un qualsiasi animale vivente. STOP.
Che preferirebbe non doverlo fare è addirittura scontato, non foss’altro perché si appresta a subire un intervento, ma non degno di particolare rilievo. Ma soprattutto il suo eventuale disagio o dispiacere, spontaneo o indotto dal condizionamento sociale, non è un obolo da offrire a un qualche dio per un perdono. Non c’è colpa maggiore di quella che consumiamo impunemente ogni giorno uccidendo, per mangiare o vestirci, animali. Più insistiamo a voler raccontare quanto dolore provino le donne ogni volta che abortiscono, più offriamo armi a quelle marionette che celebrano le loro assurde cerimonie nei famosi cimiteri per i "feti" (video -->).
Se si ritiene che un embrione o un feto nel loro primissimo stadio siano qualcosa di più di quanto ho appena detto, ALLORA non si dovrebbe MAI abortire, quali che siano le difficoltà cui le donne ospitanti possano andare incontro (salvo che in caso di pericolo di vita). Ma questo attiene a un credo religioso, non alla biologia.
Impariamo a essere realmente laiche se vogliamo condurre una giusta campagna a sostegno della 194. Accettiamo invece che PER LEGGE i prodotti abortivi vengano eliminati tramite inceneritore, A MENO CHE la donna non ne faccia esplicita richiesta conseguente a un'informazione NEUTRA correttamente ricevuta prima dell'intervento (intendendo per neutra l'assoluta assenza di trasformazione ideologica di un embrione in ciò che non è, ovvero in bambino-persona), per destinare quei resti a una sepoltura, cosa che può legittimamente rientrare nel desiderio di una non-madre che abbia abortito non per sua scelta e che pertanto abbia già IMMAGINATO un figlio, investendo in quell'embrione, o in quel feto, la propria affettività incondizionata.

Milano, 5 novembre 2013
© Iole Natoli
Vai anche a: 
IL DIRITTO LEGALE DELLA BLASTULA -->
LEGGE 194 e INTERRUZIONE DELL’OSPITALITÀ GRAVIDICA, parte 1ª  -->
LEGGE 194 e INTERRUZIONE DELL'OSPITALITÀ  GRAVIDICA, parte 2ª  -->




2 commenti:

  1. non esiste una sensazione giusta da provare se si decide di abortire, se una donna manifesta dipiacere non è giusto dirle che il suo dispiacere non è autentico, se non lo manifesta va rispettata.
    A prescindere che una donna decida di abortire o no, di essere madre o no, va rispettata per quello che decide del suo corpo. Sono d'accordo sul seppellimento a richiesta dei genitori

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  2. Grazie per l'intervento, Paolo1984, che mi consente un approfondimento. Al di là dei PESANTI condizionamenti esistenti, il dispiacere può esserci ed essere autentico per una serie di ragioni che richiederebbero un articolo a parte, ma non può diventare un mezzo per giustificare l'aborto socialmente, come di fatto avviene. Semmai può essere una solida ragione per capovolgere la prassi, per invertire i termini del discorso e affermare IO HO IL DIRITTO DI NON DOVER RICORRERE ALL'ABORTO E QUINDI ESIGO CHE LO STATO MI GARANTISCA I PROVVEDIMENTI NECESSARI: asili nido, sostegno economico della filiazione, contraccezione e qualsiasi altra cosa che mi permetta di non fare ciò che preferirei non dover fare, fosse pure soltanto avere il problema di dover decidere se abortire o no. Bisogna passare dalla giustificazione all'accusa, senza cadere nel girone viziato della "colpa", che viene tuttora connessa all'abortire.

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