Se la giustizia ti volta
le spalle
IO, SOGGETTO OFFESO
di Iole Natoli
Una recente sentenza
della Cassazione ha invalidato una sentenza della Corte d’Appello di
Catanzaro relativa a un abuso su minore, accogliendo
due delle richieste di nullità avanzate dal difensore (concernenti il riconoscimento di attenuanti) e rinviando il nuovo
processo ad altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il
diniego e motivarlo appropriatamente ove ritenga di doverlo confermare.
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Il concetto di “relazione amorosa”, espresso dal difensore dell’imputato e
accolto nella sua decisione
dalla Corte, che lo applicava al rapporto
sessuale continuato instaurato da un uomo di circa 60 anni con una bimba
allora appena undicenne, ha suscitato reazioni indignate.
Una sentenza che farà
molto discutere, ha scritto un quotidiano calabrese. Previsione perfettamente
centrata, perché da quando si è appreso da quali richieste di revisione sia scaturita
la decisione presa dalla Corte, si è scatenato realmente un putiferio.
Sull’argomento si è
scritto di tutto e a considerazioni molto valide sono stati affiancati parti
di fantasia. Qualcuno si è convinto che la Cassazione avesse assolto
l’uomo, cosa assolutamente non vera; qualcun altro che detta Corte avesse
stabilito che l’abuso non è reato se c’è amore (qui), cosa non rispondente alla
realtà, dato che l’esprimersi sull’accoglimento di attenuanti presuppone che
intanto il reato sia stato considerato sussistente, come del resto è stato
scritto in sentenza.
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Tanto rumore non è però immotivato e cercheremo di spiegare il perché. Secondo quanto riportato
nella sentenza del Tribunale di legittimità (qui), «la Corte d'Appello di Catanzaro confermava la sentenza
emessa l'11.2.2011 dal Gip del Tribunale di Catanzaro, che aveva dichiarato
L.P. responsabile del reato di cui agli artt. 81, 609 quater cod. pen. per
avere compiuto atti sessuali con P.P., che non aveva ancora compiuto 14 anni e
con le attenuanti generiche e la
diminuente del rito lo aveva condannato alla pena di anni 5 di reclusione,
oltre pene accessorie e risarcimento dei danni in favore delle parti civili
F.A.M. , P.M. , P.L. e P.P».
Benché non
ci vengano fornite informazioni sull’effetto quantitativo sia delle
attenuanti generiche sia della diminuente del rito, appare tuttavia evidente
che i 5 anni erano la risultante di una sottrazione rispetto agli anni che
sarebbero stati comminati e per applicazione del 609-ter (pena da 6 a 12 anni per circostanza aggravante determinata dall’età
inferiore ai 14 anni della vittima) e per applicazione del 609 quater
comma 2, che risulta normante ove il fatto sia stato commesso «dall'ascendente,
dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona cui il minore è affidato
per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia
o che abbia con esso una relazione di convivenza».
P.L.,
infatti, non era un individuo di passaggio ma giusto un operatore dei servizi sociali cui la madre aveva affidato la
bambina, la quale viveva una situazione di difficoltà per cause di natura
familiare.
L’imputato
però proponeva per mezzo del suo difensore ricorso, contestando la
legittimità della decisione con alcune obiezioni, due delle quali rigettate
dalla Cassazione e due accolte. Soffermiamoci qui solo sulla terza, che
appare di interesse preminente rispetto alla quarta concernente le pene
accessorie economiche.
Viene dunque
richiesta dal difensore «nullità della sentenza per violazione degli artt.
609 quater, comma 4, e 133 cod. pen., determinata da contraddittorietà e
carenza della motivazione con la quale è stata rifiutata l’attenuante di
minor gravità del reato». Secondo il parere del legale, l’aver subordinato la
non accettazione dell’attenuante al fatto che vi fosse stata congiunzione
carnale e che la minore fosse al di sotto dei 14 anni d’età, aveva introdotto «oggettive "eccezioni"
applicative dell'attenuante di cui all'art. 609 quater c.p. non previste e
non volute dal legislatore». Inoltre, eccepiva il difensore, «non si è
considerato che il fatto è avvenuto nell'ambito di una relazione amorosa».
Vediamo
adesso con quali argomenti la Cassazione ha spiegato la sua decisione, in
merito a questa parte del ricorso.
«La corte d'appello in sostanza» motiva la Corte «ha omesso di
prendere in esame le considerazioni della difesa, e si è limitata a
negare l'attenuante per ragioni che però non sono conformi
alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “la
circostanza attenuante fondata sulla minore gravità del caso è riferibile
tanto alle condotte di violenza sessuale (art. 609-bis, comma 3, cod. pen.),
eventualmente aggravate per l'età inferiore ai dieci anni della vittima (art.
609-ter, comma 2, cod. pen.), quanto all'ipotesi di atti sessuali con minorenne
di analoga età (art. 609 quater, comma 4, in relazione all'art. 609-ter,
comma 2, cod. pen.)». Detto diversamente, la Cassazione ha rilevato che le
attenuanti fondate sulla minore gravità del caso (previste senza eccezione alcuna dalla legge) sono state costantemente
applicate dalla Corte alle condotte di violenza sessuale, pure in presenza dell’aggravante
determinata dall’avere la vittima un’età inferiore ai dieci anni. Di conseguenza ogni altra aggravante considerata (anche quella relativa all'abuso di autorità) non inficia la necessità di valutare la possibile esistenza di attenuanti.
Poiché è ben noto come la giurisprudenza si fondi e sulle norme (che prevedono l'applicabilità della riduzione di pena) e sulle
interpretazioni di queste effettuate mediante sentenze e decisioni, tale
constatazione appare ben solida a condizione che possa dirsi altrettanto
della minore gravità del caso.
«Ne consegue», leggiamo ancora nella sentenza «che la
ricorrenza dell'attenuante non può essere negata per il solo fatto della
tenera età della persona offesa, dovendosi piuttosto individuare dal giudice
elementi di disvalore aggiuntivo, sulla base dei criteri delineati all'art.
133 cod. pen., rispetto all'elemento tipico dell'età inferiore ai dieci anni”
(Sez. III, 9.7.2002, n. 37656, Capaccioli, m. 223672).
Strano ragionamento. Finché si dice che l’attenuante non può essere
negata solo sulla base dell’età, siamo ancora sul filo della logica. Ci sembra
che ne sia invece seriamente al di fuori l’affermazione in base alla quale il
non accoglimento dell’attenuante debba dipendere NON dal contenuto ovvero dalla motivazione
dell’attenuante richiesta, bensì dall’assenza di un disvalore aggiuntivo. Come
dire che sì, tu sei colpevole col disvalore di 8, ma poiché non scatta un
disvalore aggiuntivo che possa portare a 9 la tua colpa (quale ad es. l’età
inferiore a 10 anni), allora il tuo punteggio scende a 7. Un vero e
proprio salto di caselle in un qualche gioco da tavolo infernale.
Andiamo adesso alla motivazione che, IN SÉ CONSIDERATA, determinerebbe la
minor gravità.
Scrive il giudice di Cassazione: «La sentenza impugnata,
invero, ha motivato questa statuizione in considerazione del fatto che l'atto
sessuale consumato dall'imputato costituiva la forma più invasiva e,
pertanto, più grave di lesione dell'altrui integrità psicofisica; mentre non
rilevava che l'imputato non avesse adottato forme di violenza o coartazione
verso la vittima. Erano poi irrilevanti il consenso della vittima e la
circostanza che i rapporti sessuali si erano innestati nell'ambito di una
relazione amorosa». Ergo, secondo
la Cassazione, la Corte d’Appello avrebbe errato.
C’è da
chiedersi se esiste un qualche parametro oggettivo cui ancorare il
significato delle parole o se tutto è opinabile al punto che si può nominare
qualcosa per affermare il suo esatto contrario.
Dal codice penale: Art. 609-bis.
Violenza sessuale.
«Chiunque,
con violenza o minaccia o mediante
abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è
punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace
chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica
o psichica della persona offesa al
momento del fatto;
2) traendo
in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra
persona.
Nei casi
di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi».
Punto
primo: cosa ha sostanzialmente
affermato il giudice della Corte d’Appello definendo l’atto compiuto
dall’imputato come «la forma più invasiva e conseguentemente più grave di
lesione dell'altrui integrità psicofisica», senza richiedere perizie di un
qualche tipo che accertassero il grado di gravità? Molto semplicemente che
non si era trattato di un petting,
ovvero di
quell’insieme di pratiche ed effusioni di natura sessuale che non includono
un rapporto sessuale completo, ma di
congiungimento carnale vero e proprio, innegabile, non contestato, non da misurare e quantificare mediante perizie, perché facente parte del fatto accertato.
Punto secondo: cosa si intende per abuso di autorità? È seriamente
possibile supporre che una bambina di 11 anni non consideri legittimamente
dotato di autorità - ovvero persona a
cui ubbidire - un adulto di circa 60, investito del compito di aiutarla,
e che pertanto la trasformazione della relazione iniziale di aiuto in
relazione sessuale, dall’adulto indotta e ottenuta, non configuri nettamente
l’abuso?
Punto terzo: cosa si intende per inferiorità fisica o psichica? È da
considerare inferiore quanto a possibile maturazione psichica una bambina di
11 anni rispetto a un adulto di 60, o per caso appare appare lecito supporre
che un adulto di 60 abbia una pari maturazione psichica di una bambina
undicenne, cosa che escluderebbe l’inferiorità della bambina?
Se l’abuso
di autorità è riscontrabile - e lo è
- e se l’inferiorità psichica della vittima al momento del fatto sussiste - e sussisteva - allora affermare che «l'imputato non avesse
adottato forme di violenza o coartazione verso la vittima» (sic!) è un puro e semplice esercizio di delegittimazione del linguaggio, cui
è totalmente impossibile attribuire il valore di verità.
Più
corretto sarebbe stato sostenere che l'atto sessuale era stato ottenuto e
consumato dall’imputato senza il ricorso ad altre forme di violenza o
costrizione fisica esulanti l’abuso di quel rapporto di fiducia, mista a
obbedienza e affetto, che connotava il sentimento della bambina verso di lui.
Posta nelle sue giusta collocazione la cosa, non sarebbe sorta né sorgerebbe difficoltà
alcuna nel riconoscere l’assenza di un disvalore aggiuntivo, fermo restando che detta assenza non può
però tramutarsi in premiazione, determinando come detto prima la discesa
del disvalore a un livello più basso di quello attribuito dal giudice di
merito al reato. Per l’assenza di un’efferatezza ulteriore, quel disvalore
non aumenta e nemmeno diminuisce: rimane dov’è. Ne consegue che la
motivazione posta alla base della richiesta di attenuazione andava non accolta
- e conseguentemente esaltata - ma rigettata dal Tribunale di legittimità.
Addirittura
aberrante appare poi il ricorso a una formula come “relazione amorosa”, che presuppone la
libertà di autodeterminazione di entrambe le parti e non di una soltanto, per
connotare quel rapporto di abuso psichico, che si è tradotto in abuso anche
fisico, instauratosi tra il sessantenne e la piccola.
Quand’anche in relazione
al proprio bisogno d'affetto e/o alla particolare età prepuberale o già
puberale in cui si trovava all'epoca, la bambina avesse realmente sviluppato
un qualsiasi sentimento di “amore” implicante un desiderio sessuale, questo avrebbe dovuto indurre l’adulto a
porre in atto un piano specifico di aiuto e non uno di utilizzazione, a scopo
di libidine personale, della piccola affidata alle sue cure. Se anche la
bambina, per una serie di problemi suoi, avesse "amato" non ci
sarebbe stata "relazione amorosa" libera e simmetrica - dunque
degna di tale nome - ma una relazione assolutamente sbilanciata, nella quale
la bambina sarebbe stata in ogni caso una vittima della libera volontà altrui
e l'uomo, che ha peraltro dimostrato di posporre ogni presenza da lei richiesta
alle proprie comodità familiari, un semplice approfittatore senza scrupoli.
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© Iole Natoli |
sabato 14 dicembre 2013
SOCIETÀ E DIRITTO / La sentenza n° 45179 relativa a un abuso su minore emessa l'8.11.2013 dalla Cassazione penale Sez. III
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Una bambina di 11 anni, anche se sessualmente precoce, non è in grado di capire le nefaste implicazioni di un sentimento "amoroso e carnale" con un uomo maturo. L'uomo di 60 anni è tenuto, moralmente, a decidere per il bene del minore, qualsiasi siano i suoi sentimenti verso la vittima di abuso.
RispondiEliminaPetizione/Appello del "Movimento per l'infanzia" contro la sentenza 45179 del 8 novembre 2013 della Corte di Cassaz.
RispondiEliminahttps://secure.avaaz.org/it/petition/Presidente_della_Repubblica_italiana_Appello_contro_la_sentenza_45179_del_8_novembre_2013_della_Corte_di_Cassaz/?fbss
Un confronto tra pareri diversi:
RispondiEliminahttp://www.z3xmi.it/pagina.phtml?_id_articolo=5552-Violenza-sessuale.-Una-sentenza-contestata.html#.UrSWlBzxN-z