Qualche considerazione sul “materno”
LA DOLOROSA SCISSIONE
DEL SÉ NELLE DONNE
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di Iole Natoli
Quando nelle discussioni tra donne ci si riferisce al
"materno" iscrivendolo nelle relazioni stabilite dal potere
patriarcale, si incorre fatalmente nell'errore perché non si risale mai alla
qualità che quella relazione avrebbe se la sua realizzazione non fosse, in
misura maggiore o minore, regolarmente inquinata dal sistema.
Per di più, si rischia di portare
acqua al mulino della repressione femminile, del confinamento nei ruoli
assegnati dal sistema facendo in tal modo della "madre" l'antitesi
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L'Io e l'Es - Iole Natoli, olio 1979 |
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della
"donna", tanto che questa, nel tentativo di realizzare se stessa
nel modo il più possibile libero, si sente di frequente obbligata a
contrapporsi drasticamente alla prima, negandola in primo luogo dentro di sé.
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Ne deriva una sorta di guerra, per la quale la donna è in fuga
dalla madre anche quando decide di divenire madre a sua volta,
perché la percepisce come altro da sé alla stregua di come sente a sé
contraria qualsiasi figura maschile patriarcale. In questo senso quasi ogni
donna è orfana di madre (ovvero dell’a
sé più simile, come nota Luce Irigaray), finché non riesce ad analizzare
il sistema sociale in cui è immersa e a elaborare nel segno della reciprocità
quel conflitto.
L'ignorare le comunità matriarcali esistenti,
in senso proprio o per pura rimozione, porta a non avere altro modello
sociale cui riferirsi che il sistema deviato in cui si vive
e dunque nessuna possibilità di confronto o di slancio verso modelli
relazionali nuovi tra madre e figlia e tra figlia e madre. Benché sia utile
non idealizzare all'estremo mai nulla - dunque nemmeno le comunità
matriarcali per quanto belle possano apparirci - è da notare che non soltanto
in esse le donne non si ritrovano vittime di stupri ma che, essendo le cure
materne condivise col gruppo familiare, ovvero assunte dal clan della madre
di cui fanno parte anche i fratelli, la donna gode di un'ampia libertà
sessuale e non solo di quella, potendo dedicarsi alle attività prescelte
senza essere soverchiata e schiavizzata dall'accudimento continuo della
prole. Non ha bisogno di alienarsi
dalla sua più simile, la donna da cui è stata generata, perché tra loro non
intercorre una relazione imperniata su potere/dipendenza.
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Il modello sociale più diffuso non è però il matriarcale ma il
suo opposto, quello improntato alla repressione e al dominio, con gradazioni
di varia intensità. La scissione del naturale rapporto madri-figlie è
strumentale alla prosecuzione del dominio, rappresenta la condizione di base
per isolare nell'intimo le donne, per contrapporle l’una all’altra
nel sociale e disperderne conseguentemente la forza, per minare la fiducia in
altre donne che ne assumano la rappresentanza politica, per rendere
immodificabile il sistema.
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Patronimia - Iole Natoli 1980 |
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Occorre dunque intervenire nelle società odierne di matrice
patriarcale producendo uno scarto, promuovendo un mutamento sociale che
consenta alla donna di ricollocare se stessa in una dimensione di effettiva autonomia,
che va dalla riappropriazione della libera maternità, dalla quale è stata
contemporaneamente espunta e soggiogata, alla pienezza di una scelta
lavorativa (manuale, professionale, creativa) che non sia vincolata, sotto
nessun aspetto, dalla discriminazione sessuale vigente.
Non ci sarà una
vera rifondazione produttiva, sinché la donna non si sarà riappropriata della
specificità del suo ruolo generativo - complesso e non riducibile, come o più
di prima, a incubazione - fin qui oscurato deliberatamente dalla cultura
maschile mediante lo storico abuso legalizzato della p a t r o n i m i a, che cancella la
genealogia femminile, che separa la madre dai suoi figli, che sminuisce il
valore sociale delle donne dichiarandole inidonee a conferire riconoscibilità
giuridica alla prole, che stacca la bambina dalla madre, per renderne conflittuale e dominabile
il Sé.
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19.01.2015
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© Iole Natoli
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