venerdì 18 dicembre 2015

LA GPA BOCCIATA IN EUROPA È PERÒ MOLTO PRESENTE NEL MONDO


DIVERSAMENTE MADRE
di Iole Natoli *
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Premessa
Il dibattito che è attualmente in corso sulla stampa, sul web e nei luoghi di aggregazione delle donne, verte su molti aspetti. Uno di questi riguarda la possibilità di limitare la maternità solidale al rapporto tra donna e donna, escludendo in altri termini che una GPA possa essere avviata a favore degli uomini singoli, eterosessuali o omosessuali che siano.
Quest’ipotesi nasce da una considerazione di fondo: c’è in atto un massiccio tentativo di  cancellazione volontaria della madre, con tutte le conseguenze sociali e culturali che la cosa comporta. Riservandomi di analizzare in seguito questo dato in sé molto importante, provo preliminarmente a valutare la maternità solidale sotto il profilo della relazione e delle tutele giuridiche che, in ogni caso, ad essa devono essere date.
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Avendo una responsabilità biologica insostituibile e non cedibile nella realizzazione del “progetto finale”, la gestante di una cosiddetta GPA non è “surrogata”, né “surrogante” e nemmeno “portatrice” del sacco della spesa. Può solo essere “diversamente madre.

Il Parlamento europeo si è espresso contro la pratica dell’utero in affitto e personalmente non mi sarei certo aspettata che la avallasse. Resta da vedere se e con quali strumenti gli stati membri fronteggeranno il fenomeno, che, riguardando in massima parte altri paesi, difficilmente può essere controllato al di fuori di una comune legge positiva in materia.
Già in un mio articolo precedente a cui rimando (=>), avevo espresso la mia contrarietà alla vendita di bambini e di donne. Esaminando l’altra veste che a tale pratica si dà o si vorrebbe dare, quella cioè di una “gestazione per altri” liberamente decisa dalla donna, avevo individuato un limite etico che ritengo sia intrinseco alla scelta.
Riparto dunque dalla “gestazione per altri”, ribadendo che la libera decisione (ove tale sia) di una donna di partecipare con il proprio corpo alla procreazione di una figlia o di un figlio desiderato da una futura genitrice biologica o da un futuro genitore biologico, che sia o no elemento di una coppia, non può essere considerata attuabile al di fuori di un’assunzione di responsabilità personale nei confronti del nato o della nata.
Non si può contribuire volontariamente e in maniera determinante alla nascita di una vita e ritenersi sollevata da ogni obbligo (a cui corrisponde anche un diritto) nei confronti di questa; sarebbe infatti al di fuori di ogni etica, sarebbe solo un abuso di potere non derivante dal diritto naturale di poter generare per sé.
Il bimbo nato tramite una cosiddetta GPA è di fatto figlio anche della donna partoriente. Consideriamo ad esempio, nell’ambito di un’eterologa, il ricorso per sé di una donna all’impianto di un ovocita di una donatrice, fecondato in vitro con uno spermatozoo del proprio partner o di un donatore - unico caso in cui un embrione ottenuto da due donatori può FORSE essere considerato impiantabile (e mi riservo di rifletterci su adeguatamente). Qualcuno metterebbe in dubbio che il neonato o la neonata da lei partorita sia sua figlia? E perché allora questa condizione viene alterata al punto da venir cancellata completamente in una “gravidanza per altri”?
Chi decide volontariamente di mettere al mondo un essere vivente non può uscirsene con un «Ecco a voi e sbrigatevela da soli!». La sua responsabilità personale non decade solo perché vi è la responsabilità del o dei committenti, esattamente come in una situazione di gravidanza naturale non decade la responsabilità del padre solo perché esiste la madre, o viceversa. Le responsabilità non sono intercambiabili o trasferibili; ciascuno ha e deve saper gestire la propria e della propria ciascuno risponde.
Il massimo che può richiedere una persona o una coppia committente è di avere la gestione preminente del figlio, non l’esclusiva.
Nell’articolo già citato, concludevo con l’indicazione di alcuni punti da includere in una eventuale legge da approntare. Li riporto integrandoli opportunamente.
Affinché la “gestazione per altri” non sia una pratica di utero in affitto camuffata e possa essere considerata legale, la legge, tramite opportuni articoli, dovrebbe ESCLUDERE categoricamente alcuni aspetti:
1 - che possa esserci una GPA qualora la persona - single o facente parte della coppia - che sia futura genitrice biologica del nato si trovi nella condizione fisica di poter partorire in proprio;
2 - che non ci sia un rapporto di parentela o di amicizia preesistente tra la futura gestante di una GPA e i genitori committenti. Questo consente di eliminare la scelta su catalogo di cui leggiamo con orrore nelle inchieste. Il rapporto va dunque invertito. I futuri contraenti si rivolgono loro a una struttura sanitaria specializzata e non è la struttura specializzata a creare il contatto. Ciò riduce anche la possibilità che una donna disponibile a sostenere una GPA possa diventare una "professionista del settore", dato che piuttosto difficilmente una donna può essere e dimostrare di essere parente o amica di più soggetti desiderosi di ricorrere a una GPA;
3 - che la gestante di una GPA, trattandosi di gestazione volontaria, possa godere di anonimato nel parto. Le strutture sanitarie che glielo consentissero dovrebbero essere perseguibili penalmente d’ufficio, insieme alla donna partoriente e ai genitori biologici committenti;
4 - che la “gestazione per altri” possa avere carattere di fabbrica di esseri umani, come accadrebbe con l’impianto di un embrione estraneo al committente o a entrambi i committenti qualora si trattasse di una coppia. Tramite esame del DNA dopo la nascita, andrebbe dunque preliminarmente accertato l’effettivo legame biologico col genitore o la genitrice committente, prima che possa essere accordato l'affido;
5 - che la “gestazione per altri” sia retribuita economicamente, nel qual caso corrisponderebbe a una vendita di bambini, che andrebbe perseguita e di cui dovrebbero rispondere penalmente TUTTI i soggetti coinvolti nell'affare: dai futuri genitori ufficiali, che nel migliore dei casi hanno fornito solo materiale genetico, alla partoriente-madre, sino alla struttura sanitaria, personale compreso;
6 - che la pratica abbia carattere di sfruttamento. In altri termini, il o i committenti dovrebbero esser tenuti ad affrontare in proprio tutte le spese relative alla GPA finalizzate al benessere del nascituro e della gestante, presso la struttura sanitaria cui la donna si sarà affidata. A ciò dovranno eventualmente aggiungersi le spese per eventuali cure post partum, nel caso in cui insorgessero conseguenze di salute negative per la puerpera;
7 - che il o i genitori committenti possano obbligare la “gravida per altri” ad abortire nel caso in cui la stessa non voglia, per cause anche gravi sopravvenute nel corso della gravidanza. In un caso di questo tipo i genitori biologici potrebbero essere esentati dall’obbligo di richiedere in affido prevalente il bambino/a, ma non da quello di provvedere economicamente ai suoi bisogni materiali, in concorso con la madre partoriente;
8 - che il o i genitori committenti possano obbligare la partoriente/puerpera alla consegna immediata del pargolo, qualora la stessa non fosse d’accordo sui tempi (andrebbe dunque individuata una durata del periodo in questione);
9 - che la partoriente/puerpera non possa rifiutare di consegnare il bimbo/a partorita al o ai genitori committenti, tenuto conto che il legame relazionale che attraverso la gravidanza ha stabilito col bimbo/a e il bimbo/a con lei va considerato come primario per il bambino/a (prossimità neonatale) e per la donna stessa. In tal caso però ai genitori committenti devono essere riconosciuti gli stessi diritti e doveri nei confronti del nato o della nata, che avrebbe la madre solidale qualora invece consegnasse ai committenti il bambino/a; 
10 - che il o i genitori committenti possano ostacolare il rapporto continuativo tra la madre solidale (come d’ora in avanti chiamerò la gestante per altri) e il figlio/a partorita;
11 - che la madre solidale possa esimersi dal mantenere un rapporto costante benché non quotidiano e significativo con la figlia/o partorito;
12 - che la madre solidale non sia tenuta a ricorrere al giudice dei minori, qualora il genitore o i genitori committenti adottassero comportamenti o decisioni nocive al benessere e al futuro del/la minore;
13 - che i genitori committenti non siano tenuti a ricorrere al giudice dei minori, qualora la madre solidale adottasse comportamenti nocivi al benessere e al futuro del/la minore;
14 - che in caso di premorienza o di malattia grave del genitore o della genitrice committente (o di entrambi i membri della coppia) la madre solidale possa esimersi dal provvedere personalmente e direttamente alle necessità di vita del figlio/a partorita, salvo diversa disposizione del giudice dei minori;
15 - che il rapporto tra la madre solidale e il bambino sia sottratto a ogni controllo esterno. Se si vuole evitare che il coinvolgimento della madre solidale venga aggirato, in cambio magari di una borsa di soldi sottobanco che equipari sostanzialmente la pratica di “gestazione per altri” a quella di “utero in affitto”, è necessario che vi sia un monitoraggio da parte dei servizi sociali della frequentazione prevista dalla legge. Questo significa che va impedito l'inizio di una gpa nel caso in cui i luoghi di residenza della futura gestante e dei committenti non coincidano, o siano tanto distanti tra loro da rendere evidente l'impossibilità o la difficoltà della frequentazione.
Poco sappiamo della vita intrauterina e dell’eventuale danno che potrebbe derivare al nascituro da una gravidanza disaffettivizzata, come diventerebbe se si prevedesse l'interruzione del contatto successivo. Puntare sulla responsabilità personale delle partoriente e sul corrispondente obbligo dei genitori committenti di riconoscerne e consentirne il coinvolgimento nella vita del nato è dunque, in primo luogo, un atto dovuto al nato o nata da GPA. In secondo luogo, credo che possa costituire un freno al   dilagare incontrollato del fenomeno.
Sapere di DOVERSI occupare sia pure non a tempo pieno del futuro bambino, essere la persona che in caso di premorienza o di grave malattia dei genitori committenti ha l'obbligo di farsi carico di tutte le necessità di vita del/la minore, fermerebbe le speculatrici dell'utero molto più di quanto accadrebbe se le leggi dei singoli stati continuassero a ignorare il fenomeno.
Anche i genitori committenti non sarebbero più tanto inclini ad avviare la pratica con chicchessia, sapendo che con la donna prescelta dovrebbero avere a che fare almeno sino alla maggiore età del figlio/a.
L’ideale sarebbe pervenire a una legislazione omogenea in Europa e nel mondo. Ricordiamolo: al di là delle nostre posizioni morali, eticamente fondate o puramente ideologiche, c’è già un mondo esterno alla UE che si è organizzato economicamente intorno al fenomeno e che farebbe (e farà) di tutto pur di non farsi sfuggire dalle casse il suo più che lucroso investimento.
Se vogliamo che non si ripetano all’infinito casi come quello spinoso di cui si è dovuta occupare la Corte di Cassazione italiana tempo fa (=>), a mio parere non possiamo limitarci ad esprimere un sonoro e gradito no all’utero in affitto; dobbiamo legiferare e farlo in modo netto e chiaro, cercando di coinvolgere gli stati anche non europei in una visione etica comune. Si potrebbe cioè istituire un doppio binario: accordarsi su una legge abbastanza restrittiva, che permetta a ogni singolo stato solo eventuali restringimenti ulteriori e, al limite, anche il divieto assoluto, ma non consenta di venir meno in nessun caso alle garanzie che tale legge dovrebbe statuire. Detto diversamente, si potrebbe stabilire che ogni stato ha il diritto di permettere o meno una gpa, ma che nessuno stato può permetterne una che venga meno alle norme da tutti sottoscritte.
Al di fuori di ciò, può esserci solo la speculazione selvaggia, che rende soggetti diversamente abusati (moralmente e affettivamente, benché non sessualmente) i bambini e vittime a diversi livelli le donne meno affrancate dal potere dei soldi.

18.12.2015
aggiornato 
il 21.01.2016
© Iole Natoli
(linkideatrice del primo progetto italiano di doppio cognome per i figli (1979)
e fautrice dell’abolizione del 143-bis c.c. (cognome coniugale per la donna)

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