LA TECNOLOGIA NON È AUTONOMA E SOVRANA NÉ PUÒ ESSERE SCISSA DALL’ETICA
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di Iole Natoli *
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In un incontro interessante e segnato da qualche contrasto di parte svoltosi
il 26 gennaio alla Libreria delle Donne di Milano, nell’affrontare il tema
dell’”utero in affitto” o “gravidanza per altri”, le relatrici e la maggior
parte dell’uditorio hanno posto l’accento sul valore fondante sul piano
personale e sociale della relazione materna, quella che per la specie umana,
non diversamente dalle altre specie animali, si stabilisce tra la donna
gravida e il suo futuro bambino e che non cessa con la nascita di questi, ma
si protrae e si arricchisce nel tempo costituendo e costruendo l’unica
identità soggettiva di cui il nato o la nata possono disporre nei primi loro
mesi di vita.
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Sulla espropriazione della maternità
come desiderio costante del patriarcato si sono soffermate Marina Terragni,
Daniela Danna e Luisa Muraro, con accentuazioni personali su taluni aspetti che
vale qui la pena di riassumere.
Il fatto che alla produzione di “bimbi contrattati” [il
riferimento è al testo Contract Children di Daniela Danna (link)] siano giunti abbastanza recentemente
anche i gay ha finito col mascherare un dato di base, che cioè i maschi umani
si sono incamminati da tempo sulla via dell’esclusione programmata della
madre attraverso la parcellizzazione del corpo della donna, come dimostra l’esistenza
di padri eterosessuali che hanno voluto avere figli ricorrendo a una pratica
di cosiddetta surrogacy, ovvero a
una donna “gravida per altri” (Terragni, link).
Si vuol equiparare una GPA (Gravidanza Per Altri) a
un “lavoro”. Bene, ha rilevato polemicamente Daniela Danna, questo allora è
l’unico lavoro atipico che esista, nel quale non è previsto un minimo
sindacale retributivo, né una pausa o un periodo di ferie, dato che si svolge
per nove mesi senza interruzioni d’alcun tipo.
Gravidanza, si è fatto notare, che inizia a suon di
bombardamenti ormonali, prevede una manovra di impianto in utero, progredisce
con cariche di ormoni a tutto spiano, si conclude con un parto il più delle
volte cesareo, dato che a quanto pare queste gestanti preferiscono non vedere
assolutamente il bambino/a in questione (o vengono costrette a non vederlo,
per evitare che, una volta riconosciutolo visivamente, possano non volerlo
più “consegnare”).
Pratiche spesso orrende ed alienanti (link),
che qualche donna accetta di subire spinta il più delle volte da un bisogno
economico più o meno grave, o per effetto di una propaganda massiccia, che
nasconde la realtà sotto una facilità immaginaria ammantandola del valore
mistificante del “dono”, benché poi il corrispettivo economico che viene dato
alla “donatrice” sveli il carattere reale di acquisto che questa transazione
ha e mantiene e giustifichi di gran lunga la dizione “utero in affitto”, che
tanto spiace a coloro che vi ricorrono.
Le condizioni di prevaricazione spesso atroce cui
sono sottoposte queste donne in alcune parti del mondo, ovvero nei paesi più
poveri, rischiano di distrarre però dal punto centrale, dal riconoscere ciò
che si vuol frantumare e dal comprendere da cosa abbia origine il delirio
maschile di voler “espropriare” la donna da sé a tutti i costi riducendola al
“forno” aristotelico, sottolinea Luisa Muraro. La relazione materna è un bene e come tale va custodita,
ricorda (link).
Necessita rilevare però qualcos’altro. A ricorrere
alle GPA molto più degli uomini single, etero o omosessuali, sono le COPPIE
coniugate, ovvero il duo uomo-donna, in cui la donna accetta di utilizzare l’altra
donna, perché non coglie il senso di ciò che in realtà sta facendo:
spezzettare l’io di quell’altra inducendole una dissociazione mente-corpo.
Il corpo è mio
ma l’utero non lo è, questo organo che credevo mio è invece a disposizione di
chi mi paga, serve a confezionare un essere che non mi conoscerà nemmeno o
con cui avrò rapporti puramente formali, quasi sempre a distanza, io non sono
una persona ma un mezzo, uno strumento per la realizzazione di desideri
altrui. Io sono cosa.
Perché una donna fa questo a un’altra donna? Perché, nel migliore dei casi,
rende se stessa una donna-padre, ovvero una semplice donatrice di gamete,
pretendendo però di essere madre tanto da nascondere quasi sempre alla figlia
o al figlio in quale modo sia stato generato?
A questa domanda io rispondo con qualche altra
domanda. Come mai solo abbastanza di recente nel mondo le donne hanno
cominciato a notare che la patronimia era una strategia d’occultamento
simbolico della generatività femminile? Come mai in molti Paesi le donne
continuano a collegarsi ai loro figli (e i figli alle loro madri) solo
attraverso il cognome del marito, tanto da continuare a prenderlo in quei
paesi dove la legislazione prevede che si possa anche a fare il contrario
(che cioè il cognome di famiglia sia quello femminile e non quello maschile)?
Come mai in Italia si è voluto approvare alla Camera un DDL sul cognome che
volutamente ignorasse il concetto di prossimità
neonatale, da me espresso in più petizioni (link
ved. art. 4) e altri scritti e
presente anche nella sostanza, benché non nella sua formulazione concettuale,
in altre proposte legislative obbligate a cedere il passo a un DDL
livellatore concordato?
Detto in altre parole: bisognava proprio che si arrivasse
all’UteroInAffitto o GPA, affinché le donne toccassero con mano cosa si
nascondeva in quella pratica di volontario occultamento simbolico della
generatività femminile e dunque del valore intrinseco e inalienabile della
maternità?
Torniamo adesso alla deflagrazione attuale.
Cominciamo col dire alla Chiesa che ha la sua buona parte di responsabilità
in tutto questo. A furia di predicare in tutti i modi che la famiglia
naturale (“voluta da Dio”) è quella dell’uomo con la donna e non casomai l’inverso
e cioè della donna con l’uomo ha fornito una doppia copertura, ha steso un
doppio velo sulla realtà.
Come ho scritto altrove (link),
“in natura e nelle formazioni sociali più antiche, la famiglia è solamente
l’aggregazione delle donna coi suoi figli e dei figli con la madre. In natura
e nelle formazioni sociali più antiche i figli sono frutto di unioni casuali
o comunque mutevoli e ciò non altera gli equilibri familiari, proprio perché
la famiglia è data da chi genera e porta alla luce e da chi è generato ed è
portato alla luce. Conseguentemente Donna + Figli e STOP.
Dunque la Chiesa cominci col riconoscere che la
famiglia naturale è innanzitutto questa: DONNA COI SUOI FIGLI <-->
FIGLI CON LA LORO MADRE. Se poi vogliamo estendere il concetto di natura a
quello di continuità o trasmissione genetica, allora possiamo considerare
“naturale” anche la famiglia della Donna + Uomo + Figli, ma solo se e finché
questa famiglia non si complichi a causa di divorzi e nuove unioni, dato che
per mantenere intatto il concetto dovremmo creare un harem all’inverso,
ovvero Madre + Padri + Figli. Un po’ scomodo per le donne, a ben vedere. E
nemmeno gradito alla Chiesa che non a caso ha preteso l’indissolubilità del
matrimonio, allo scopo di tener ferma la sua inversione del dato di natura,
sostituendo alla Madre il Padre e dando luogo a tutte le ripercussioni a
catena di questa infelicissima
impostura.
Lasciamo però da parte il Vaticano e torniamo
all’aspetto civile del problema.
Che fare, dinanzi al dilagare dell’UteroInAffitto o
GPA nel mondo? Che fare dinanzi al fatto che nel nostro stesso Stato che non
l’ammette può avere luogo ugualmente tramite accordo tra una gestante per
altri e un committente, che riconosca come suo un bambino nato da donna che
non vuole essere nominata?
Ho cercato di esaminare il “che fare?” in due
articoli precedenti (link)
(link),
che individuano non la soluzione migliore in assoluto (che sarebbe riuscire
ad abolirla dovunque) e nemmeno una soluzione non suscettibile di ragionate
modifiche ma solamente una bozza, una traccia su cui lavorare.
Sostanzialmente la proposta prevede un accordo
mondiale di
“doppio binario”: ovvero l’individuazione di una legge sulla GPA molto
restrittiva, che tuteli le garanzie della relazione donna < --> bambino/a
da essa statuite e che preveda per ogni singolo Stato la libertà di vietare
la pratica, se considerata non rispondente all’impianto giuridico di esso.
La legge
restrittiva da approvare dovrebbe includere i seguenti presupposti di base:
- possibilità
di accesso alla GPA, previa autorizzazione del giudice, solo in caso di donna donatrice appartenente alla propria
cerchia familiare o amicale (preesistenza della relazione amicale da
dimostrare), allo scopo di consentire nel modo più naturale possibile il
prosieguo della relazione DonnaPartoriente-Bambino/a, iniziata con la
gestazione;
- divieto di
anonimato per la partoriente di una GPA, trattandosi di coinvolgimento
volontario nella messa al mondo di un essere umano verso il quale dunque la
donna detiene una responsabilità personale specifica;
- totale
assenza di retribuzione economica per la pratica, fatte salve le spese
sanitarie di cui dovrebbero farsi carico in ogni caso solo i genitori
committenti;
-
possibilità per la partoriente di non dare ai committenti il bambino ma di tenerlo
come figlio proprio, pur con la salvaguardia nei loro confronti di quegli
stessi diritti/doveri che lei avrebbe, qualora invece lo “consegnasse” come
da accordo;
-
istituzione di una "responsabilità genitoriale" della “madre solidale”
(denominazione più idonea rispetto a quella di “gestante per altri”) da
dettagliare nei suoi contenuti;
- diritto/obbligo
per la madre solidale di provvedere personalmente e direttamente alle
necessità di vita del figlio/a partorita, salvo diversa disposizione del
giudice dei minori, in caso di premorienza o di malattia grave dei genitori
committenti;
- controllo
esterno sull’effettiva esistenza del rapporto tra la madre solidale e il
bambino/a (e dunque sulla frequentazione) affidata ai servizi sociali.
Ovviamente occorrerebbe
includere altre norme. Per esempio, bisognerebbe stabilire se l’accesso alla
GPA debba essere ammesso solo per una coppia committente o anche per una/un
singolo individuo.
Non si può affermare
infatti che la maternità solidale va riservata alle donne e non agli uomini
senza incorrere in un errore di logica.
Una donna che ricorre a una gestante altra da sé si trova nell’identica
posizione di un padre. Questi fornisce il futuro figlio del materiale
genetico necessario al pari della donna - anche se la questione del DNA
mitocondriale, essenziale per lo sviluppo e trasmesso solo per via femminile,
svela una qualche differenza di apporto - e sino al momento della nascita del
figlio NON È in relazione con lui. La donna che accetta di avere un figlio
tramite la cooperazione di un’altra donna partoriente si trova nella stessa condizione. Entrambi non
sono padre o madre né quando il futuro figlio è un embrione, né quando è un
feto maturo. Lo DIVENTANO dopo la nascita tramite una relazione ancora da stabilire. E allora, o si limita l’utilizzo
della pratica alla coppia genitoriale (e qui sorgono altri problemi: sposata,
non sposata, eterosessuale, omosessuale, boh!) o la si allarga anche agli
aspiranti genitori single e senza distinzioni di sesso.
Non è qualcosa su
cui si possano dare risposte precipitose. Occorre esaminare bene la questione
prima di poter eventualmente dire che sì, in qualche modo la GPA si può fare.
E non è detto che quel sì dia
poi risultati positivi. I rapporti familiari e sociali spesso si deteriorano
nel tempo. Una sorella può partorire per un’altra sorella e poi le due
possono divenire nemiche in occasione di fattori esterni, quali ad esempio
un’eredità familiare o un’attenzione non innocente del padre verso la
cognata-madre. È possibile che una permissività limitata, regolata per legge,
debba venir revocata con nuova legge, in quanto rivelatasi sperimentalmente
un insuccesso.
Da notare però che
istituire il divieto di anonimato in questo tipo di parti porterebbe allo
scoperto i casi attualmente nascosti. Non mi sembra pensabile che una donna,
sottoposta a bombardamenti ormonali continui, possa fare a meno di controlli
specifici al momento del parto. Suppongo che le sue condizioni artificiose
siano rilevabili dai medici nelle strutture ostetriche, pubbliche e private.
Suppongo, non lo so per certo. Ma se la supposizione fosse esatta, allora con
un’idonea legge restrittiva otterremmo non un incremento ma forse
un’inversione di tendenza, dato che le GPA attuate nascostamente anche in
Italia non vengono statisticamente rilevate.
Pensare che sia
possibile vietare totalmente la pratica a livello mondiale a me sembra una
speranza illusoria. Però non è poi così certo. Anche abolire la schiavitù
poteva sembrare un sogno irrealizzabile all’epoca, eppure è accaduto almeno
formalmente, benché in alcune parti del mondo si stia assistendo a una
riedizione imprevista (Daesh e le donne) e benché anche nel nostro mondo
civilizzato non manchino le schiave del sesso rese tali mediante le
tratte. Guarda caso, sono le
donne che ci vanno di mezzo. C‘è sempre la perversione patriarcale che
avvelena la vita dei Paesi, sotto vecchissime forme collaudate o tecnologiche
e assolutamente “moderne”.
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27.01.2016
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© Iole Natoli
(link) ideatrice del primo progetto italiano
di doppio cognome per i figli (1979)
e fautrice dell’abolizione del 143-bis c.c. (cognome coniugale per la donna) Nota: leggere l'aggiornamento inserito nel primo commento |
mercoledì 27 gennaio 2016
GPA o “Maternità Solidale” / Cerchiamo di arrivare a una coerenza
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Un altro punto chiave è l'esclusione delle cliniche ad hoc, con cataloghi vari. La domanda parte dalle persone, viene sottoposta al giudice esattamente come accade per l'adozione, il giudice verifica l'esistenza dei requisiti di legge e se tutto è in regola autorizza una struttura pubblica a effettuare l'impianto dell'embrione e a seguire la gestante sino al parto e al puerperio. Via le cliniche specializzate e i loro affari.
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