Quando a far sragionare è il pregiudizio
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di Iole Natoli
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Poco meno di un mese fa, abbiamo appreso che una coppia di donne italiane aveva ottenuto dal Tribunale di Genova che la bimba nata da una di loro fosse riconosciuta legalmente come figlia di ciascuna di esse, con trascrizione nell’atto di nascita.
Vediamo meglio quel che era
successo in questo caso abbastanza fuori dal comune.
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La coppia aveva scelto di affidare la gestazione e il parto della futura
creatura non alla stessa “proprietaria” dell’ovocito ma alla compagna, dopo
una fecondazione in vitro ottenuta col contributo di un donatore anonimo; praticamente
con un impianto effettuato in Spagna, mediante la stessa tecnica utilizzata per
una qualsiasi fecondazione autologa o eterologa.
Qualche differenza c’è sul profilo genetico. Nell’autologa i gameti sono
di entrambi i genitori, dunque nessun’altra analogia oltre a quella
dell’impianto. Nell’eterologa possiamo avere due situazioni diverse. Nell’una
– che, in realtà, biologicamente non ha
proprio nulla di diverso dall'autologa per la futura madre - occorre un
donatore esterno del gamete maschile. L’ovocito, dunque, è della futura
partoriente e non c'è nessuna estraneità genetica della stessa rispetto al
figlio che nascerà. Nell’altra, l’ovocito è di una donatrice mentre il gamete
è dell’altro genitore, pertanto la futura madre si trova in una condizione di
estraneità genetica rispetto al futuro figlio, compensata però dalla
gravidanza, non solo per la durata di essa ma perché durante il decorso
avviene un’interazione tra la donna e l’embrione, tale da influenzare
“l’espressione dei geni” del figlio.
Abbiamo poi un’eterologa totale, non prevista dalla legge italiana, che
riguarda il caso in cui nessuno dei due gameti è della coppia all’interno
della quale e per la quale il parto avrà luogo.
Torniamo adesso al caso delle due donne.
La generazione dell’embrione si è avvalsa di due contributi essenziali, uno femminile e uno maschile, entrambi geneticamente estranei alla donna che ha partorito. A livello non genetico, però, il caso non può essere apparentato a quello di un’eterologa totale, perché uno dei gameti appartiene a uno degli elementi della coppia, essendo la donatrice la compagna della partoriente, cosa che rende simile questa situazione specifica a quella dell’aspirante madre il cui embrione impiantato è geneticamente ascrivibile al partner ma non a lei. La partoriente, d’altronde, non soltanto ha condotto una gravidanza influenzando anche lei i geni della bimba poi nata, ma non ha mai avuto intenzione di cedere la bimba a qualcun altro. La gravidanza e il parto li ha affrontati PER SE’ e PER LA COMPAGNA donatrice dell’ovocito. E allora? Con quale coerenza si afferma – ho letto anche commenti del genere – che si sarebbe trattato di una “GpA gratis”, ovvero di un prestito di utero senza corrispettivo in denaro?
GpA è l’acronimo di “Gravidanza per Altri”. Ne consegue che la differenza fondamentale non è che non
ci sia stato nessun passaggio di denaro, ma che SIANO MANCATI GLI ALTRI,
requisito sostanziale perché si possa assimilare il caso a una GpA.
Si possono avere tutte le riserve personali possibili sulle tecniche di
riproduzione assistita, specie nel caso di vendita di ovociti, in quanto il
loro prelievo presuppone interventi invasivi sul corpo della donatrice, la
quale, peraltro, non si sottopone di solito solo una o due volte all’espianto.
Si possono fare tutti i distinguo del mondo da qualsiasi punto di vista, ma nessuno è autorizzato a spacciare la soluzione voluta da queste due donne, per ragioni loro e non nostre, per qualcosa che invece non è. Che lo abbiano voluto per qualche eventuale difficoltà di una o di ciascuna di esse (ipotesi scarsamente probabile), che l’abbiano voluto per non incorrere negli impedimenti che la legge riserva alle coppie lesbiche alle quali è interdetta l’eterologa, o per l’intenzione di essere entrambe “carnalmente partecipi” della generazione di quella bimba, in ogni caso la loro scelta merita il nostro rispetto… non foss’altro che in omaggio alla verità. |
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6.12.2018
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giovedì 6 dicembre 2018
Perché si chiami Gravidanza per Altri è necessario che gli Altri ci siano
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