Sono soltanto sviste in/volontarie o anche sintomi di valori
alla deriva?
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di Iole
Natoli
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Gpa?
Autodeterminazione! La donna! Il diritto! Gratis, quasi gratis, rimborso
spese, è pur sempre un impegno notevole, no? Se lo hai già fatto, il
“prezzo-rimborso” sale, in proporzione al grado di “recidiva”…
Appena si prova a toccare l’argomento è un impazzare di “giustificazioni” affannate a sostegno del business neoliberista. Le trovi ovunque: vengono scritte disinvoltamente sui social o dichiarate in arringhe interminabili da avvocati presenti a qualche Convegno, come quello promosso il 16 marzo di quest’anno da RUA a Milano.
Gli argomenti sono sempre gli stessi, come cliché per fotocopiatrici.
Esaminiamoli per verificare quanto siano impropri gli alibi capziosi
utilizzati.
«La donna ha diritto all'autodeterminazione», mi ha scritto una voce qualificata su un social. E chi lo nega? «Quindi ha il diritto di decidere lei se prestarsi a una Gpa oppure no». Ahi, ahi, ahi, il nesso fa acqua da tutte le parti. L’AUTOdeterminazione, che si stia parlando di una donna o di un uomo, riguarda SOLO la persona in sé, NON la vita degli altri. E totalmente altro da sé si pretende che sia il bambino nato da una “Gestazione per altri”, tanto altro da sé che lo si può abbandonare nelle braccia del contraente, altrimenti detto committente, ovvero “genitore intenzionale”, detentore o detentrice di un’intenzione che ha bisogno di un corpo che non è il proprio, laddove la gravidanza naturale condotta a termine non ha mai scisso intenzione e persona.
Che si tratti di una
scelta economica dettata o meno da uno stato di bisogno, oppure di una
decisione definita “altruistica” (che
non disdegna però il rimborso spese), o ancora di una mania di grandezza (vedi un po’ cosa sono capace di fare!),
o ancora di una sottile vendetta verso il partner (ecco, questo è un evento sessuale - innegabile che sia legato al
sesso femminile - dal quale tu
finalmente sei ASSENTE!), in ogni caso la candidata gestante si sta
offrendo per SCAVALCARE a priori il diritto di un altro, che non è la o il
committente single e nemmeno la coppia etero oppure omosessuale: la persona
che sta scavalcando e opprimendo, gestendo arbitrariamente il suo diritto è
il futuro bambino, che non aveva certo chiesto di nascere e di fare il suo
ingresso in un mondo che d’immediato aliena il neonato da sé, dal quel sé
determinato da un’esperienza di vita prenatale legata a una persona che
scompare.
«Qui si mette in discussione il diritto a prestare
l'utero per la creazione di una vita umana; dunque la vita umana futura è
superiore al libero utilizzo del proprio utero», prosegue l’interlocutrice non immaginaria pro Gpa.
Vien fatto di pensare che non appena una bambina apprende della struttura del suo corpo, stia lì a riflettere giorno dopo giorno: »Ah, dunque io ho un utero e un maschio invece no. Potrò fare bambini miei e... in che altro modo potrò impiegarlo utilmente?». Sembrerebbe che l’utilizzo dell’organo debba essere il pensiero dominante di una donna, quasi la sua ragion d’essere, il filo da cui dipende la sua “libertà”.
«La
questione del diritto all'autodeterminazione sul proprio corpo permane ed è
generale. Si potrebbe altrimenti sostenere che la donna non abbia diritto a
partorire un bambino che poi intenda abbandonare in ospedale: solo che questo
ovviamente non è possibile». No, infatti. C’è una
legge che permette di farlo. A chi, però?
La ragione per cui è previsto che la madre possa abbandonare in ospedale un figlio, che poi verrà dato in adozione, esiste IN QUANTO lei è rimasta gravida di un figlio INTERAMENTE suo (interamente per quanto riguarda la componente biologica che le compete) che non voleva. Quella donna non vuole essere eterodeterminata, divenendo contro il proprio desiderio madre, da un altro da sé che è quel futuro bambino. Non intendendo abortire (cosa che sarebbe a mio avviso preferibile ma forse non a suo) o non potendo più farlo entro i tempi, vuole che venga dato in adozione. Adozione che peraltro NON viene determinata da lei con un contratto e nemmeno per indicazione verbale. Adozione che passa attraverso le leggi e sulla quale dunque lei non ha - perché NON può avere - alcun diritto.
A quanto pare la confutazione non basta.
«No, scusa», riprende ancora la neoliberista di turno. «L'obiezione è filosofica- etica cioè - e non legale. La questione rimane: una donna ha diritto a disporre del suo corpo? La tua risposta è: no, se ciò significa far nascere un essere umano che... che cosa? Che non è costituito da materiale genetico della gestante? Che viene fatto nascere per contratto e affidato poi a terzi?». Mi sembra proprio che non si voglia capire. L'obiezione etica è che il mio diritto di disporre del mio corpo - della donna e anche dell'uomo - trova un limite nel diritto altrui di non essere distortamente determinato da me, ovvero eterodeterminato dalla prepotenza di un’estranea. Se io uso il mio piede per dare un calcio a qualcuno, sto indubbiamente disponendo del mio corpo ma per fini eticamente - e anche legalmente - non legittimi. Un bambino ha diritto di nascere da sua madre e non da una sezione di persona che poi scompare.
Si è esaurito il
ventaglio degli alibi? NO, ne resta uno, che come i precedenti viene invocato
continuamente a sproposito.
«Quindi l’aborto sì e la Gpa no?», è l’ultima spiaggia delle e dei favorevoli. Esatto, l’aborto sì e la Gpa no. La vita umana che finirà col determinare la donna cosiddetta “portatrice” è già una vita, tant'è che alla nascita il nuovo essere diviene immediatamente titolare di diritti propri. Il diritto di aborto, invece, riguarda il corpo e il destino di una donna che per mancato aborto sarebbe costretta a divenire madre ricevendo un’impostazione di vita che è contraria al suo desiderio e soprattutto riguarda un embrione o feto, che non a caso entro i primi 90 giorni di sviluppo - non parliamo di vita perché una vita autonoma non ce l'ha - non è titolare di nulla. Un embrione è soltanto un progetto biologico di vita umana e, diversamente dal bimbo partorito, non è ancora una vita. Un embrione che determini la vita di una donna contro la volontà della stessa sta eterodeterminando - sia pure senza consapevolezza possibile e conseguentemente senza colpa futura - quella donna; una donna, che consentendo all’impianto di un embrione non suo determinerà la vita di un bambino che intende cedere ad altri, sta eterodeterminando intenzionalmente quel bambino e per fini a lei estranei. L’autodeterminazione è un’ALTRA COSA e non passa per la prevaricazione volontaria nei confronti di soggetti inermi, privati del più originario dei diritti. |
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28.03.2017
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© Iole Natoli
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martedì 28 marzo 2017
I FALSI ALIBI DELLA GRAVIDANZA PER ALTRI
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